Iginio Ugo Tarchetti, anima tormentata e passione estrema

«Scrivere per noi per rileggere, per ricordare in segreto, per piangere in segreto. Ecco perché scrivo […] Io scrivo ora per me medesimo.»

Molti di noi hanno almeno una volta sentito parlare della corrente letteraria della Scapigliatura. Alzi la mano chi ricorda invece il nome di Iginio Ugo Tarchetti, colui che ha declamato queste parole in una delle opere da lui scritte.

Sicuramente ben pochi, e per certo si tratta di letterati, studiosi di lingua e docenti universitari: quindi una ristretta cerchia conosce la figura di questo scrittore, poeta e autore italiano della metà dell’Ottocento.

Di lui sappiamo che nasce nei pressi di Alessandria nel 1839. Poi si arruola giovanissimo nell’Esercito e  fa parte dei battaglioni inviati nel Sud Italia per la repressione del brigantaggio. I ritratti che ci provengono da altre persone ci danno l’idea di un uomo alto più di un metro e ottanta, occhi azzurri, e quel fascino da vendere che fa impazzire le donne.

Dal suo Epistolario, abbiamo notizia della sua permanenza a Varese nel 1863, dove conosce una certa Carlotta Ponti, con cui intreccia una relazione sentimentale. Ma è dall’anno successivo che il suo nome inizia a legarsi alla storia della letteratura italiana. Infatti, nel 1864, giunge a Milano per motivi di salute. Qui entra a far parte degli ambienti del circolo della corrente letteraria della Scapigliatura. In questo contesto, diviene molto amico di uno degli esponenti più importanti, Salvatore Farina, che avrà un ruolo importante per consegnarlo alla eternità.

Nel frattempo, Tarchetti inizia a scrivere le sue prime opere, che però non hanno molta fortuna. Ma nel 1865, un episodio lo segna per sempre: mentre è a Parma, per via di un incarico militare ufficiale, conosce una certa Carolina, una donna ammalata e prossima al trapasso, di cui si innamora perdutamente. Lui ce la descrive come una donna dai grandi occhi scuri, bellissima e dai capelli color ebano.

«Quell’infelice mi ama perdutamente… il medico mi disse che morrà fra sei o sette mesi, ciò mi lacera l’anima, vorrei consolarla e non ho il coraggio, vorrei abbellire d’una misera e fuggevole felicità i suoi ultimi giorni e v’ha la natura che mi respinge da lei».

Avendo insieme un tormento interiore e il desiderio di amore verso questa donna, che gli dà successivamente spunto per la sua opera più importante: Fosca.

La relazione non passa però inosservata all’occhio della opinione pubblica. Così, lui torna a Milano, poiché i suoi problemi di salute si sono aggravati. Abbandona la vita militare e negli ultimi anni frequenta attivamente i circoli letterari milanesi, producendo poesie, articoli, saggi e romanzi.

La morte lo coglie alla età di trent’anni, in casa di quell’amico, Salvatore Farina, che nel 1869 completa l’opera di Tarchetti e la consegnòaalla eternità: stiamo parlando appunto di Fosca.

A gloria postuma dell’autore, da noi considerato uno dei grandi autori maledetti italiani, e considerate le tematiche macabre e antisociali di altri suoi scritti, nel 1981 il celebre regista Ettore Scola decide di rendere omaggio a Iginio Tarchetti, traendo spunto da Fosca per il suo bellissimo film Passione d’amore.

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