Il peso del particolare universale – Historiae di Antonella Anedda

Il peso del particolare universale – Historiae di Antonella Anedda

 

di Andrea Sponticcia

 

 

Scrivere di una poetessa affermata qual è Antonella Anedda non è facile, poiché è tutt’altro che facile superare la precisione chirurgica del suo lessico poetico o la vividezza delle immagini che compongono il micro e macro cosmo del mondo da lei cantato in Historiae, raccolta poetica edita da Einaudi nel 2018.

 

Partiamo col dire che le Storie di Anedda non sono solo un una manifestazione della versatilità del medium poetico in sé, ma anche di una capacità tutt’altro che comune di miscelare sapientemente i sottogeneri della poesia civile e intimista con uno sguardo dal taglio storiografico e onnicomprensivo sull’esperienza umana.

 

Uno sguardo analitico, quello di Anedda, che per risultare incisivo e penetrante senza colpo ferire si affida a un linguaggio che con sapiente delicatezza lenisce la durezza delle formule usate dalla storiografia.

 

 

La verità, oggetto contundente dai numerosi spigoli e dalle infinite facce, trova in ogni poesia la sua messa in luce grazie all’incastro di elementi universali e particolari. Immagini e prese di consapevolezza indotte dalla riflessione poetica che sotto altra forma risulterebbero banali o indigeste, qui si sottraggono al vicolo cieco della semplice attestazione per elevarsi, nell’insieme dei testi, a canto di speranza.

 

Artica

 

I.

 

Vedo i letti di chi amo disporsi in lunghe file,

ogni letto un corpo e un nome.

Più tardi sistemerò la poesia, ne farò una casa

con tetti a punta esatti per la neve. Ora bisogna uscire,

vivere per chi resta, scolpire

ogni giorno di nuovo la sua forma, lottare

per quel corpo che l’aria comunque disferà a folate.

 

 

In pochi versi Anedda riesce a coniugare la necessarietà della poesia alle necessità intrinseche della vita. La letteratura è un riparo che serve per ricalibrare gli strumenti di cui disponiamo, ma come ogni riparo deve essere prima o poi lasciato per concedersi di nuovo all’urto del mondo.

 

Di fronte all’ineluttabilità di un destino comune che ci ribadisce ogni giorno la nostra finitezza, all’uomo non resta che porsi tra esso e la fine, ma non in modo bellicoso o frivolo; né in una maniera nichilisticamente rassegnata o risolvibile nei termini di una qualche fede compensatrice.

 

Anedda non scivola nell’ingenuità di dispensare consigli. La poesia non è da intendersi quale manuale di vita o soluzione. La soluzione sta invece in quell’uscire, in quel lottare, nel “vivere per chi resta”, scolpire, dare forma, poiché non rientra nelle possibilità dell’uomo il poter creare qualcosa da zero fuori dall’ambito artistico.

 

Resistere è possibile solo in funzione di una forza che è altro e preme contro il nostro vissuto. Tale forza è il corso della storia, della quale si è parte indipendentemente dalla nostra dimensione. Piccoli o grandi, molecole o anime, siamo onde di un qualcosa che muove dal mistero e avanza imperituro verso esso. La scienza, la religione e la poesia sono tutti elementi che concorrono a interpretare la storia e a splittarla in una pluralità che è riflesso di noi stessi.

 

’15-18

 

A volte mi illudo di afferrare i nessi tra le cose

mio nonno in trincea a diciassette anni

che scrive versi d’amore ignaro

che l’inferno doveva ancora venire.

Lui vivo e tutto il resto perduto

a cominciare dalla bambina

sepolta in Istria con sua madre.

Di notte stabilisco i nessi tra le cose

rivedo un vecchio esitare sulle scale

scambiare il vuoto per un lago

e le ringhiere di ferro con le felci.

Lo vedo mentre cade facendo di sé stesso

un nodo di vestiti e vetri per provare

finalmente a rovesciare il male.

 

 

La fissità del rapporto non biunivoco che lega domande e risposte, ma anche il bene e il male di cui Anedda parla ponendo come punti cardinali la Storia con la esse maiuscola e la storia del singolo essere umano, è arginabile solo in momenti di vita nascosti; punti minimi che stabiliscono segmenti nell’infinita retta che è il tempo.

 

Non vi è bisogno di rime, poiché è la Storia in sé a produrre assonanze che risultano al tempo stesso magnifiche e desolanti. Il tratto poetico è camuffato sotto una prosa confessionale, quasi diaristica, che lega e stride col carattere di cronaca che la narrazione di eventi storici esige. Quello di Anedda è un titanismo gentile, privo dell’impeto romantico ma non per questo più debole. È anzi la parola così limata, che aderisce perfettamente all’immagine, a essere la forza dirompente che sprigiona la vitalità del testo.

 

 

Quanti

 

Dicono i fisici che la morte

sia presente da sempre in uno spazio esatto

posata accanto alla nascita come un lume o una mela

o un oggetto qualsiasi sopra un tavolo.

Che il tempo dunque non c’è e dobbiamo dire ora e poi

solo per non impazzire, un anno dietro l’altro

piegando i giorni dentro i calendari

pensando i loro numeri appiattiti

quando invece ronzano pieni di larve e miele.

 

 

La poesia di Anedda si dipana entro quesiti esistenziali senza tempo, non senza il timore che una certa futilità permei il tutto. Convenzioni sociali, terapie estenuanti, malattie terminali, guerre, sprazzi di tenerezza che rivelano come talvolta la tenerezza sia l’arma più letale, nonché la più difficile da usare, per far fronte alla banalità con la quale le cose accadono o accettare la temporaneità delle soluzioni materiali.

 

La tenerezza è qui un pugnale di velluto che affonda nella verità delle cose seguendo la luce di uno sguardo impietoso che non rinuncia però a spargere grazia laddove l’empietà del mondo sarebbe altrimenti insopportabile. Di tracce se ne rinvengono in ogni sezione del libro.

 

Alla contemplazione del macro e micro cosmo, posta in essere nella sezione iniziale denominata Osservatorio, si lega la grandezza effimera dell’azione storica nella parte intitolata Historiae. Da questa si scivola verso Occidente, cervelletto del libro, per poi giungere allo svisceramento della componente più piccola del sistema, quegli interpreti che Anedda individua nella categoria degli Animalia. Anatomie, invece, è il titolo della sezione che chiude la raccolta, una discesa ancora più ripida verso la contingenza e la varietà delle sue forme.

 

Futuro I

 

Qualcuno a quest’ora avrà appena finito di sognare

mentre i popoli migrano,

qualcuno si sarà di nuovo messo a letto,

per qualcuno il mattino non diventerà mai sera,

qualcuno porterà fuori l’immondizia

e ascolterà lo scroscio della pioggia improvvisa.

Un gatto trotterà nel sentiero di ghiaia,

di nuovo sarà ancora notte,

con i platani chini sull’asfalto bagnato, le tende chiuse

e il corpo ancora in grado di obbedire.

In uno dei palazzi di fronte un cane resterà immobile

per ore vicino al suo padrone

nel suo futuro semplice di ciotola

in attesa di cibo che tintinna nell’aria.

 

 

In conclusione, Historiae è un apice nella produzione letteraria di Antonella Anedda, una delle migliori poetesse della sua generazione, un’autrice in grado di far convergere in un singolo testo tutti gli estremi dell’osservabile e, allo stesso tempo, capace di far confluire in maniera credibile e poeticamente valida tutto il peso – l’importanza – dell’universale nel particolare. E viceversa.

 

 

 

poesie tratte da Historiae di Antonella Anedda, Einaudi (2018).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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