L’indulgere del peso della piuma nella chiarezza della bruma

L’indulgere del peso della piuma nella chiarezza della bruma

Recensione a Varchi nell’oblio di Claudia Palombi (Puntoacapo Editrice)

 

Il poeta spagnolo Juan Ramon Jimenez, premio Nobel per la letteratura nel 1956, e tra i più importanti intellettuali del novecento, scriveva in tal modo: Non correre, vai adagio, perché tanto è da te stesso che devi andare”. E noi ci mettiamo proprio comodi, nel leggere questi versi di Claudia Palombi, comodi e ben predisposti ad una indagine accurata e lenta, seguendo il consiglio che ci viene dato in prefazione da Alessandra Prospero, editrice e a sua volta autrice notevole, la quale ci rammenda quanto il “lettore contemporaneo” sia poco propenso a sostare oltre l’immediatezza del tempo digitale, oltre quella comprensione immediata del tutto inappropriata se rapportata alla molteplicità di significati contenuti nel testo poetico. La citazione famosa di Ungaretti, riportata in principio di prefazione, sulla “poesia pura che porta con sé un segreto”, un segreto che a volte tale pare restare nonostante le molteplici letture e attenzioni prestate, è una primissima chiave di lettura che ci viene fornita per cominciare ad addentrarci in quei varchi che la poetessa Claudia Palombi ci mostra, o per meglio dire, ci svela con delicatezza emotiva affinché il suo “patto autobiografico” sia mantenuto in pieno. Un poco per volta, cominciando da quel “Venne l’ottobre”, e prima ancora, da qualche lieve volteggio di giostra in attesa di sederci sulla poltrona dei ricordi. Rinneghiamo dunque per tutte le STAGIONI E I GIORNI (titolo della prima sezione della raccolta) il lettore contemporaneo, e prendiamoci tutto il tempo che ci occorre per farci accompagnare nel suo viaggio. E come in ogni viaggio degno di tal nome, il momento iniziale è di “gestazione”, e la nostra “Gitana ammansita” ci fa rivivere la sua, in quel gennaio di passione e ardore dove all’appello nulla è mancato, tra arieti tigri e scorpioni, perché in ogni autobiografia che si rispetti, seppure in forma poetica, l’impegno del narrare si deve nutrire di sincerità, e nel caso della nostra Claudia, si tratta per l’appunto di una potente sincerità poetica. E qui, il riferimento della Prospero al Luzi di “Lasciami, non trattenermi”, è più che mai calzante. Così calzante che già dopo alcuni testi, siamo sempre più coinvolti dalle sue indicazioni di volteggio e percorso, che di pari passo ci legano alla sua parola, alla parola di Claudia, fatta di “pulsioni semantiche”, e se anche il riferimento a Luzi è nella estrema sincerità del suo ultimo viaggio per “ritrovarsi perduti nell’infinito della perdita”, con i versi della Palombi è l’inizio la meta, un varcare di volta in volta ciò che ci tiene e ciò che ci separa, tra suggestioni ed essenze di cogente attualità. L’attualità che costruisce muri invalicabili, senza possibilità di riscatto; senza varchi. Ma la nostra poetessa non si arrende affatto, perché è proprio nel raggiungere l’inizio di qualcosa che si procede di mutazione in mutazione passando per malattia e guarigione, da assenza ad abbraccio salvifico d’amore. I personalissimi ricordi che ci inondano gli occhi, rasentano le nostre pareti emotive fino a lanciarsi al centro della scena, occupando i nostri sensi con la parola che diventa poesia assoluta e che con essa gioca a rivelarsi in molteplice forma. Come i bravi poeti,

Claudia plasma per noi a “Regola d’Arte” la materia poetica fino a farne MONADI (quarta sezione del libro composto da cinque sezioni più un prologo ed un epilogo), dove l’unità deve salvarci, l’unità di un abbraccio, o l’unicità dell’essere soli in attesa, come “bucato appeso al filo degli eventi”, e a quel filo vederlo sventolare profumato e danzante e perfino sentirne la voce come in alcuni versi che paiono usciti dalla più bella canzone di Guccini:

 

Voi teneri amici

                                   compagni di un tempo che è stato…”,

 

dove forse abbiamo tenuto in gabbia il passo, chiedendo dove fosse la nostra musa. E alla risposta, ci facciamo piuma che indulge a varcare la chiarezza della bruma. Perché si tratta anche di lenire il dolore, con leggerezza;

 

“A lenire il dolore

del presente smarrito

nel silenzio dell’erba

d’improvviso un papavero”

 

per poi farlo defluire fino a che non ne restino solo le sue sembianze scheletrite, dopo averlo accompagnato e nutrito, aggirato e ritrovato nel posto più inatteso, aggrappato con i suoi artigli all’ultimo lembo di pelle, quasi implorante, come se fosse una parte del nostro vivere che non possiamo lasciar andare, che non possiamo affidare all’oblio. Ma il suo profondo scavo, è dall’altra parte della riva che fa riemergere sensi e memorie, dove ancora il verso di Claudia Palombi ci attende come nuovo germoglio che ha conquistato altra terra, una nuova terra di germogli forti di una incoscienza vitale, ignari  di altre soglie da superare. Eppure, ne abbiamo scavate e riempite di fosse che credevamo capitoli chiusi, abbiamo scavato proprio nel cuore, che per quanto grande possa essere, “è solo un cuore che sa fare bene il suo mestiere”.

E mentre il cuore fa bene il suo mestiere, anche a noi lettori tocca fare bene il nostro, quando ci poniamo di fronte alla bellezza della poesia di Claudia Palombi, con la calma e la massima attenzione che le è dovuta, così come indicato con chiarezza nella esaustiva prefazione di Alessandra Prospero. E mi sia consentito aggiungere, calma e attenzione dovute a tutta l’autentica Poesia, quella che ci consente di suggere la sua bellezza mai finita, e di varcare sempre nuove soglie per quanto dolorose possano essere, perché vi è una bellezza in un verso come questo “…vedo il tuo sguardo ma non so il tuo viso…” che non possiamo non affrontare, pur rischiando l’oblio, un oblio che può condurci nel cavo delle mani o in quello di un’onda, che ci contiene in dispersione, che ci avvicina a quel ritorno a casa, allontanandoci (l’Itaca citata sempre in prefazione dalla Prospero…).

La delicatezza emotiva della Gitana ammansita, ci affida il suo cuore, riponendo in noi la sua atavica fiducia nella vita, facendoci assaporare a sorsi pieni, così come lei ha fatto, il puro piacere del vivere senza lesinare armonie a discapito di sterili calcoli che nulla infine possono generare. Volteggiamo si, vorticosi e poi piano tra queste parole che di ammansito hanno la gioia della sosta che ci fa pregustare già un nuovo viaggio, un nuovo varco da attraversare, anche là dove pare non esserci speranza; la luce nel buio chiama a raccolta il freddo ed il calore, affinché possa nascere qualcosa di nuovo, di unico.

Possiamo dirlo, nel presente di questi versi, non vi è timore di alcun oblio,

e ci par bello anche quel graffio dell’aria che disorienta il respiro, per ritrovare poi la strada di casa allontanandoci, per l’appunto. E non saremo presi da alcun freddo stupore comprendendo quanto enormi ed invisibili siano le mura della Poesia, l’unico luogo che riconosce chi non ritorna.

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