Mallarmé, il tormento e la rivoluzione della metrica poetica

Lo sguardo intriso di pensieri e riflessione, baffoni spioventi, capelli neri come i suoi occhi indagatori. Così un quadro di Manet ci presenta il poeta Stéphane Mallarmé, nel fiore degli anni. A differenza dell’altro ritratto di Renoir, riferito allo stesso poeta, notiamo però una certa canizie, che ci fa presumere che si riferisca a una età più avanzata del letterato.

Non tutti sanno forse che il poeta nasce col nome di Etienne, ma adotta il nome con cui lo conosciamo solo più avanti. L’infanzia e l’adolescenza sono segnati prima dalla perdita della madre, poi da quella della sorella; e infine dalla lettura de I Fiori del Male, di Baudelaire. Mallarmé inizia a cogliere di fatto i primi segnali di quello che sarà il suo destino tra gli immortali.

In questo periodo, in cui egli stesso più avanti parlerà di primo passo verso l’abbrutimento, cerca una propria dimensione nonostante il carattere turbolento, in perfetta linea con gli altri ‘Poeti Maledetti’ francesi. Dopo aver conosciuto una donna di origine tedesca, si sposta a Londra per insegnare e nel frattempo compone le prime poesie.

Ma è quasi in contemporanea con la nascita della figlia, che compone una delle più belle liriche a noi note, L’Azur:

«Del sempiterno azzurro la serena ironia

Perséguita, indolente e bella come i fiori,

Il poeta impotente che maledice il suo genio

Attraverso un deserto sterile di Dolori

Dopo aver scritto la prima versione de Il pomeriggio di un fauno, Mallarmé entra in contatto con altri illustri personaggi del suo tempo: Verlaine per via di una fitta corrispondenza, Rimbaud, Hugo e Manet, di cui sappiamo già.

La sua produzione va a corrente alternata, raggiungendo cime elevate e pause inattese, per lo più motivate da rifiuti di pubblicazione a cui non pensava di arrivare.

Introduce nella metrica alcuni elementi simbolici e più avanti viene considerato uno dei poeti più difficili da interpretare e studiare. La rivoluzione del linguaggio poetico e l’ermetismo a cui a quel tempo non si è avvezzi, provoca un plauso dagli addetti dal settore. Al tempo stesso, fa storcere la bocca da parte di chi non comprende la musicalità e l’impatto forte delle opere di Mallarmé, che a dire il vero sono molte di meno di quante ne avrebbe potute scrivere.

Negli ultimi anni si lascia andare a se stesso, causa anche la perdita di un figlio scomparso prematuramente. In punto di morte chiede alla moglie e alla figlia di bruciare le sue opere, tanto da scrivere nella sua ultima lettera che non esiste una eredità letteraria.

Le due donne non lo ascoltano e consegnano alla eternità uno dei più brillanti poeti di sempre, a pieno titolo inserito nella cerchia dei Poeti Maledetti.

Lo ricordiamo così con alcuni versi, che pare calzino a pennello per la sua condotta di vita, Salut:

Nulla, spuma, vergine verso

A non designar che la coppa;

Tal si tuffa lungi una frotta

Di sirene, il dorso riverso.

Noi navighiamo, o miei diversi

Amici, io già sulla poppa

Voi sulla prua ch’apre alla rotta

Flutto di folgori e d’inverni;

Un’ebbrezza bella m’ingiunge

Senza temer beccheggio lungo

Di levar alto questo salve

Solitudine, scoglio, stella

A non importa ciò che valse

La cura bianca della vela.

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