VISIONI, La lettera ai poeti di Papa Francesco

Il pontefice gesuita, Papa Francesco, nel dialogo ininterrotto con il suo popolo , la sua gente , come pastore della Chiesa ma anche come intellettuale ha scelto a volte la lettera , l’epistola una forma di comunicazione che ci richiama alla mente ormai un tesoro di valori , storie, promesse di vita, realtà impegnative che nel corso dei secoli appunto sotto forma di epistola sono stati raccolti e trasmessi.

La lettera è una forma di comunicazione tra le più antiche che assume i caratteri di un vero e proprio genere letterario quando viene scritta con l’intento della pubblicazione e, quindi, con particolare cura anche formale. L’inizio della letteratura epistolare risale alla Grecia del V sec. a.C. Il filosofo Seneca (4 ca a.C. – 65 d.C.) è l’autore che riporta l’epistola alla prosa e le restituisce il carattere suo proprio di comunicazione intima e dialogica. I cristiani, nel momento della loro affermazione nel mondo pagano, praticano l’epistolografia con intenti di proselitismo e di evangelizzazione, a cominciare da Paolo (tra il 5 e il 15 – 67 ca d.C.), di cui si è favoleggiato un carteggio con lo stesso Seneca, fino a Pietro, Giacomo, Giovanni e Padri della Chiesa come Gerolamo (347 – 420 d.C.) e Agostino (354 – 430 d.C.).

Nella storia della letteratura si incontrano romanzi epistolari, come per esempio ad un’opera per noi famosa Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo che iniziò a scriverlo nel 1798 in seguito alla delusione che provata quando Napoleone cedette il Veneto all’Impero Asburgico, nel trattato di Campoformio, forse ispirandosi all’altrettanto famoso Werther . Seguito nel tempo dal capolavoro epistolare di Guido Piovene, Lettere di una novizia, che esce nel 1941 mentre nel 1956 Luigi Malerba pubblica Le lettere di Ottavia, un libro sul mondo del cinema. Natalia Ginzburg pubblica Caro Michele (1973) e La città e la casa (1984), Oriana Fallaci riesce a condensare il travaglio di una donna di fronte ad una maternità inaspettata: Lettera ad un bambino mai nato mentre Antonio Tabucchi opera una rielaborazione concettuale del tema epistolare come voce interiore con il romanzo Si sta facendo sempre più tardi del 2001 .

La prima forma dello scrivere cristiano è dunque quella della lettera. I testi più antichi sono dunque le lettere del Nuovo Testamento che rivestono un ruolo fondamentale nella storia della Chiesa cattolica, perché fonti di insegnamento teologico e spirituale. Tra le molte lettere possiamo ricordare in un arco di tempo molto lungo quelle che vanno da Ignazio di Antiochia a Chiara Lubich. Fino alle encicliche dei pontefici che sono lettere circolari rivolte a tutti i vescovi e, attraverso di loro, a tutti i fedeli, con lo scopo di trasmettere insegnamenti dottrinali, morali o sociali.

In particolare va ricordato proprio parlando di Papa Francesco il Concilio Vaticano II con il cui linguaggio sempre più spesso Francesco ha definito i problemi del nostro tempo perché proprio quel concilio ha prodotto un numero imprecisato ma enorme di “lettere” scritte dai vescovi e da teologi che parteciparono al concilio contribuendo ai 16 documenti che hanno cambiato radicalmente la storia cristiana contemporanea avviando la Chiesa a un ritorno al Vangelo. Un concilio che ha prodotto una letteratura storica, teologica filologica, pastorale, polemista e apologetica.

Oltre alle quattro encicliche, sette esortazioni apostoliche Papa Francesco ha scritto ottanta lettere apostoliche, la maggior parte delle quali sotto forma di Motu proprio. Fino all’ultima lettera ,24 ottobre 2024 sull’amore umano e divino del cuore di Cristo che inizia così : «“Dilexit nos. Ci ha amati”, dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37) per farci scoprire che da questo amore nulla “potrà mai separarci”(Rm 8,39).»

Già su questa rubrica qualche tempo fa riportavo quando scriveva Papa Francesco nel VII centenario della morte di Dante nel 2021 appunto in una lettera indicata con Candor Lucis aeternae: “Non può dunque mancare, in questa circostanza, la voce della Chiesa che si associa all’unanime commemorazione dell’uomo e del poeta Dante Alighieri. Molto meglio di tanti altri, egli ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore. Il suo poema, altissima espressione del genio umano, è frutto di un’ispirazione nuova e profonda, di cui il Poeta è consapevole quando ne parla come del «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par. XXV, 1-2).
Con questa Lettera Apostolica desidero unire la mia voce a quelle dei miei Predecessori che hanno onorato e celebrato il Poeta, particolarmente in occasione degli anniversari della nascita o della morte, così da proporlo nuovamente all’attenzione della Chiesa, all’universalità dei fedeli, agli studiosi di letteratura, ai teologi, agli artisti. Ricorderò brevemente questi interventi, focalizzando l’attenzione sui Pontefici dell’ultimo secolo e sui loro documenti di maggior rilievo.”

Il gesuita colto dunque prendeva le mosse dall’occasione della celebrazione del centenario della morte di Dante per esortare i futuri sacerdoti in formazione a studiare la letteratura ricordando anche la sua attività di insegnante.

Infatti nell’Udienza ai partecipanti al Convegno promosso da “La Civiltà Cattolica” con la Georgetown University sul tema «L’estetica globale dell’immaginazione cattolica» aveva detto : “Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante, Dostoevskij e altri ancora. Devo anche ringraziare i miei studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, con i quali ho condiviso le mie letture quando ero giovane e insegnavo letteratura. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale, anche ora in questo ministero. Dunque, la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte. A partire da questa esperienza personale, oggi vorrei condividere con voi alcune considerazioni sull’importanza del vostro servizio.”

In altre parole : “L’artista è l’uomo che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi. Infatti, la poesia non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa: il lavoro, l’amore, la morte e tutte le piccole grandi cose che riempiono la vita .E, in questo senso, ci aiuta a «carpire la voce di Dio anche dalla voce del tempo». Il vostro è – per citare Paul Claudel – un “occhio che ascolta”. L’arte è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose. E in questo senso lo stesso Vangelo è una sfida artistica, con una carica “rivoluzionaria” che voi siete chiamati a esprimere grazie al vostro genio con una parola che protesta, chiama, grida. Oggi la Chiesa ha bisogno della vostra genialità, perché ha bisogno di protestare, chiamare e gridare.

In conclusione in Candor lucis aietrnae il pontefice affermava che Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale.
Che è poi in definitiva la voce della poesia . Ecco perchè Papa Francesco ha sentito il bisogno di scrivere una lettera dedicata proprio ai poeti pubblicata nel libro “Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa” (Crocetti editore), a cura di Davide Brullo, Antonio Spadaro e Nicola Crocetti,
Una riflessione sulla poesia che ritocca un suo intervento pensato in origine come un discorso che è stato pronunciato nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il 27 maggio 2023. confermando le espressioni usate allora, adattandole in forma di “Lettera ai poeti”. (Cfr. discorso rivolto ai partecipanti al Convegno promosso da “La Civiltà Cattolica con la Georgetown University .)

Lettera di Papa Francesco ai poeti
“Cari poeti, so che avete fame di significato, e per questo riflettete anche su come la fede interroga la vita. Questo “significato” non è riducibile a un concetto, no. È un significato totale che prende poesia, simbolo, sentimenti. Il vero significato non è quello del dizionario: quello è il significato della parola, e la parola è uno strumento di tutto quello che è dentro di noi. Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante, Dostoevskij e altri ancora. Devo anche ringraziare i miei studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, con i quali ho condiviso le mie letture quando ero giovane e insegnavo letteratura. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale, anche ora in questo ministero.
Dunque, la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino.
La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte.
Alla luce di questa esperienza personale, oggi vorrei condividere con voi alcune considerazioni sull’importanza del vostro servizio.
La prima vorrei esprimerla così: voi siete occhi che guardano e che sognano. Non soltanto guardano, ma anche sognano.
Una persona che ha perso la capacità di sognare manca di poesia, e la vita senza poesia non funziona. Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che probabilmente non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo. Uno scrittore latinoamericano diceva che abbiamo due occhi: uno di carne e l’altro di vetro. Con quello di carne guardiamo ciò che vediamo, con quello di vetro guardiamo ciò che sogniamo. Poveri noi se smettiamo di sognare, poveri noi!
L’artista è l’uomo che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi. Infatti, la poesia non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa: il lavoro, l’amore, la morte, e tutte le piccole grandi cose che riempiono la vita.
Il vostro è — per citare Paul Claudel — un “occhio che ascolta”.
L’arte è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose.
E in questo senso lo stesso Vangelo è una sfida artistica.
Essa possiede quella carica “rivoluzionaria”, che voi conoscete bene, ed esprimete grazie al vostro genio con una parola che protesta, chiama, grida.
Anche la Chiesa ha bisogno della vostra genialità, perché ha bisogno di protestare, chiamare e gridare.
Vorrei dire però una seconda cosa: voi siete anche la voce delle inquietudini umane. Tante volte le inquietudini sono sepolte nel fondo del cuore. Voi sapete bene che l’ispirazione artistica non è solo confortante, ma anche inquietante, perché presenta sia le realtà belle della vita sia quelle tragiche.
L’arte è il terreno fertile nel quale si esprimono le “opposizioni polari” della realtà — come le chiamava Romano Guardini —, le quali richiedono sempre un linguaggio creativo e non rigido, capace di veicolare messaggi e visioni potenti. Per esempio, pensiamo a quando Dostoevskij nei Fratelli Karamazov racconta di un bambino, piccolo, figlio di una serva, che lancia una pietra e colpisce la zampa di uno dei cani del padrone. Allora il padrone aizza tutti i cani contro il bambino. Lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e quelli disperati della madre.
Questa scena ha una potenza artistica e politica tremenda: parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali. Per citare soltanto un brano poetico che ci interpella. E non mi riferisco solamente alla critica sociale che c’è in quel brano. Parlo delle tensioni dell’anima, della complessità delle decisioni, della contraddittorietà dell’esistenza.
Ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate: questo è il vostro terreno fertile, il vostro campo di azione.
E questo è anche il luogo dove spesso si fa esperienza di Dio. Un’esperienza che è sempre “debordante”: tu non puoi prenderla, la senti e va oltre; è sempre debordante, l’esperienza di Dio, come una vasca dove cade l’acqua di continuo e, dopo un po’, si riempie e l’acqua straripa, deborda.
È quello che vorrei chiedere oggi anche a voi: andare oltre i bordi chiusi e definiti, essere creativi, senza addomesticare le vostre inquietudini e quelle dell’umanità. Ho paura di questo processo di addomesticamento, perché toglie la creatività, toglie la poesia. Con la parola della poesia, raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo, perché non si raffreddino e non si spengano. Questa opera permette allo Spirito di agire, di creare armonia dentro le tensioni e le contraddizioni della vita umana, di tenere acceso il fuoco delle passioni buone e di contribuire alla crescita della bellezza in tutte le sue forme, quella bellezza che si esprime proprio attraverso la ricchezza delle arti.
Questo è il vostro lavoro di poeti: dare vita, dare corpo, dare parola a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna, soffre, creando armonia e bellezza.
È un lavoro che può anche aiutarci a comprendere meglio Dio come grande «poeta» dell’umanità. Vi criticheranno? Va bene, portate il peso della critica, cercando anche di imparare dalla critica. Ma comunque non smettete di essere originali, creativi. Non perdete lo stupore di essere vivi.
Dunque: occhi che sognano, voci delle inquietudini umane; e perciò voi avete anche una grande responsabilità.
E qual è?
È la terza cosa che vorrei dirvi: siete tra coloro che plasmano la nostra immaginazione. Il vostro lavoro ha una conseguenza sull’immaginazione spirituale delle persone del nostro tempo. E oggi abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti.
Io pure sento, vi confesso, il bisogno di poeti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù, farcelo toccare, farcelo sentire immediatamente vicino, consegnarcelo come realtà viva, e farci cogliere la bellezza della sua promessa. La vostra opera ci può aiutare a guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che ne oscura il volto o, ancor peggio, da tutto ciò che vuole addomesticarlo. Addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro, significa distruggere la sua immagine.
La sua promessa invece aiuta la nostra immaginazione: ci aiuta a immaginare in modo nuovo la nostra vita, la nostra storia e il nostro futuro. E qui torno a ricordare un altro capolavoro di Dostoevskij, piccolo ma che ha dentro tutte queste cose: le Memorie dal sottosuolo. Lì dentro ci sono tutta la grandezza dell’umanità e tutti i dolori dell’umanità, tutte le miserie, insieme. Questa è la strada.
Cari poeti, grazie per il vostro servizio.
Continuate a sognare, a inquietarvi, a immaginare parole e visioni che ci aiutino a leggere il mistero della vita umana e orientino le nostre società verso la bellezza e la fraternità universale.
Aiutateci ad aprire la nostra immaginazione perché essa superi gli angusti confini dell’io, e si apra alla realtà tutta intera, nella pluralità delle sue sfaccettature: così sarà disponibile ad aprirsi anche al mistero santo di Dio. Andate avanti, senza stancarvi, con creatività e coraggio!
Vi benedico.”

“La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. “ Ecco allora il cammino che questa lettera pone all’attenzione. Un cammino sul quale occorrerà ritornare per un commento più esplicito e puntuale proprio per tener conto di cose importantissime che si riferiscono ai poeti e alla poesia per continuare : “… a sognare, a inquietarvi, a immaginare parole e visioni che ci aiutino a leggere il mistero della vita umana e orientino le nostre società verso la bellezza e la fraternità universale.” Continuare a sognare , ora che orfani di Francesco non ci resta che la sua eredità che ci ha indicato la strada , il compito dei poeti : “ dare vita, dare corpo, dare parola a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna, soffre, creando armonia e bellezza. “

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