L’AQUILA: L’AGENDA DAIMON 2024 DEDICATA A KAFKA

L’AQUILA: L’AGENDA DAIMON 2024 DEDICATA A KAFKA

di Valter Marcone

 

L’Agenda Daimon per il prossimo 2024 , ideata  da Alessandra Prospero,  ceo della casa editrice, è  dedicata a Franz Kafka (3 luglio 1883 – 3 giugno 1924 ) proprio nell’anno che segna il centenario della sua morte.

Alessandra Prospero

Un ricordo lungo un intero anno perché l’agenda,  nello svolgere quotidiano settimanale e mensile  dell’arco di un anno , propone una riflessione continua sulla figura e  sull’opera del “ signor K”. Una figura ormai familiare  per quanti hanno letto ,  tentato di leggere, letto e riletto, le sue opere  che ci sono giunte grazie al ”tradimento” delle ultime  volontà affidate al suo amico Max Brod da parte di Kafka di distruggere tutto quello che aveva scritto dopo la sua morte. Una provvidenziale disobbedienza che ci ha conservato testi  e materiali , tra cui le lettere, che  non ci parlano solo delle idee , dei sentimenti, delle emozioni, delle sofferenze, delle speranze, delle aspettative  dell’uomo Franz Kafka ma  di ciascuno di noi. Perché quando leggiamo i suoi racconti e romanzi, le sue lettere, sentiamo le storie che racconta come nostre, una specie di biografia   collettiva che  attraverso gli anni  non ci riporta indietro  ma ci permette di  guardare il mondo  con gli occhi di oggi, senza velo,  con le stesse parole usate da Kafka, malgrado quelle parole siano state scritte  più di un secolo fa.

Un secolo che Kafka ha visto solo nascere, un secolo che noi possiamo definire con gli storici che ne hanno studiato fatti e avvenimenti “secolo  breve”.

Un secolo che ha visto ben due guerre mondiali combattute nel volgere di pochi decenni , che ha assistito a due spaventose carneficine, quella della prima guerra mondiale e quella dell’Olocausto.

Un secolo che si è chiuso con la speranza almeno per l’Europa di una pace duratura, cosa realizzata grazie alle idee  di uomini come Alterio Spinelli citato come padre fondatore dell’Unione europea per la sua influenza sull’integrazione europea post-bellica.

Un mondo quello attuale certo diverso da quello in cui visse Kafka ma che è costretto ad assistere a fenomeni oggetto delle narrazioni kafkiane che sembrano eterni  come ,per esempio,  l’universo contraddittorio della burocrazia. Una questione che tocca da vicino tutti noi ancora oggi . Un universo giuridico e burocratico,  di cui  Kafka  ha messo  in luce  i lati peggiori specialmente quelli che  intralciano il funzionamento di uno Stato rendendolo debole . Un problema  che  riguarda in questo momento  anche il nostro paese  che  in tema di riforme per esempio della giustizia, negli ultimi anni,  ne ha proposte  di diverso orientamento, incapaci  però di dare i risultati sperati. Senza parlare della pubblica amministrazione e della sua paludata  burocrazia,  la moltiplicazione di leggi , norme e decreti che ne disciplinano l’attività e che spesso ne intralciano l’attività. Ricordiamo  per esempio i tentativi di “semplificazione burocratica”  anche attraverso gesti simbolici ( ahimè ancora simbolici ) del falò delle leggi inutili. L’opera kafkiana che più rappresenta questi problemi e più in generale la filosofia dell’autore riguardo questo argomento è sicuramente “Il Processo” (1) che, rimasto incompiuto, giunse nelle mani dell’amico Max Brod il quale lo valutò come la più grande opera dello scrittore.

 

Solo per inciso e in breve  in tema di “burocrazia “, appunto una parola che possiamo definire “ eterna”, va ricordato che secondo quanto affermato da Albrow,(2) della burocrazia si possono tracciare  alcune caratteristiche  tra le quali quella di essere  una forma di potere vero e proprio  a fianco di quelle ormai tradizionali  che si possono indicare come democrazia, aristocrazia e monarchia.; quella di  essere sinonimo di “mala amministrazione “  e infine  forma razionale di organizzazione per la massima efficienza.

Valter Marcone

Franz Kafka in molte sue pagine  richiama l’attenzione proprio sulla  “mala amministrazione “  mettendo in luce  tutti i punti deboli e gli errori della burocrazia all’interno di uno Stato. Anche Hanna Arendt sottolinea in un commento come “Il processo” di Kafka debba essere interpretato come un’analisi della burocrazia e del suo potere.

L’agenda Daimon 2024  su Kafka  appartiene già  per il suo valore ad una collezione e non già ad una collana  che ha visto negli anni agende dedicate a Pier Paolo Pasolini e alla poetessa  Wislawa Szymborska.

Per  questa edizione la Daimon ha chiamato a raccolta i suoi autori che hanno  risposto numerosi  offrendo contributi come poesie, racconti, brevi saggi, riflessioni personali e testimonianze : Maurizio Cichetti, Antonella Colonna Vilasi, Federico Del Monaco, Grazia Distefano, Emanuela Gentilini, Elena Giacomin, Luciano Giovannini, Valter Marcone, Giuseppe Murro, Claudia Palombi, Roberta Placida, Giuliana Prescenzo, Giovanna Secondulfo. Nonché l’introduzione a cura dell’editrice Alessandra Prospero che afferma : “Questa pubblicazione sta diventando un’opera da collezione, ci vengono inoltrate innumerevoli richieste da tutta Italia e si crea ogni anno grande aspettativa intorno al personaggio a cui dedichiamo il tributo letterario. Tra gli autori dei testi vi sono poeti, docenti e critici letterari, registi e autori teatrali: ci piace lasciare un segno tangibile e pregiato del nostro tributo.”

Alla presentazione  dell’Agenda 2024 La vita pareva intagliata con il coltello dedicata a Franz Kafka domenica 26 novembre 2023 presso la libreria Mondadori alla Galleria commerciale Meridiana di L’Aquila, alcuni degli autori  hanno letto e commentato il proprio contributo. Presente anche l’ideatore e realizzatore della suggestiva ed efficace copertina, Roberto Falco. Gli autori assenti in quella occasione parteciperanno ad una diretta on line che si terrà tra qualche giorno.

Ma inoltriamoci tra i contributi  e in particolare tra quelli illustrati personalmente dagli autori nella presentazione.

 

AGENDA 2024 DAIMON DEDICATA A FRANZ KAFKA: GLI AUTORI

Un emozionato Giuseppe Murro  già  professore di storia e filosofia nei Licei con la passione per la poesia, vincitore di concorsi letterari  e autore con un collega di  un libro dal titolo Fantascienza e fantasie.  ha tessuto,  leggendo uno dei racconti  inclusi nell’agenda  “Il secondo processo”,  un parallelo tra  Kafka e Jorge Luis Borges (1899-1986)  che sono certamente  due espressioni altissime della letteratura del primo Novecento . Le loro opere esplorano il mondo della complessità e mettono in campo sicuramente  un certo realismo magico per Kafka e una  capacità di visione per Borges.

Giuseppe Murro legge “Il secondo processo”

Giuliana Prescenzo  che ha lavorato in un’azienda farmaceutica, che e ama  fortemente il contatto con la natura, e che nell’arco di due anni 2020-2022 tra menzioni, coppe e targhe ha ricevuto ben 21 riconoscimenti per le sue opere, ha raccontato ai presenti la genesi delle due poesie  contenute nell’agenda . In particolare “La bambola fu il dono”, ispirata all’opera kafkiana “La bambola viaggiatrice”,  racconta una esperienza realmente vissuta dall’autrice fanciulla  quando le fu regalata una bambola e poi sottratta . Nella poesia aleggia dunque il senso della perdita e del distacco che Prescenzo fa rivivere.

Giuliana Prescenzo legge “La bambola fu il dono”

Chi scrive questa recensione si è occupato per  l’Agenda di raccontare la “Lettera al padre” di Kafka. Uno scritto autobiografico che è un colloquio con l’ombra ma anche un resoconto della propria vita , quella di Kafka nel momento in cui molto malato si trova ricoverato in un sanatorio nel quale morirà dopo due anni. . Un colloquio  simile a quello che molti altri uomini e donne,  nel corso degli anni, ci hanno lasciato  a testimonianza di come il rapporto con il padre sia stato e sia importante, di come si sia modificato nel tempo e di come  questa figura  abbia rappresentato e rappresenti  un indiscutibile punto di riferimento  in termini sia positivi che negativi. Molte volte è un modo di risarcire il proprio “ io”  di tutto quello che il rapporto con il padre, quando  il genitore era in vita,  non è riuscito  a dare  per colpa dell’uno o dell’altro. Le intenzioni con le quali sono state scritte lettere al padre sono molte  e diverse nel loro genere e per i loro presupposti. Insomma stanno tutte dentro la vita di chi le scrive. Anche perché l’interlocutore è sempre assente  proprio per la particolare forma di  comunicazione  : la “lettera”, che  non ammette colloquio, che è quasi sempre senza “risposta”. Qualcuno  degli autori di queste lettere, come lo stesso Kafka, si è data una risposta da solo; in generale le risposte non ci sono anche per ragioni obiettive : i padri sono  ormai assenti per diversi motivi compresa la morte. A volte le lettere di risposta, quando si tratta di un vero e proprio rapporto epistolare come nel caso della figlia  Virginia con il padre  Galileo, sono perse o distrutte. Spesso sono un bilancio di queste vite, altrettanto  spesso sono un tarlo per lo svanire di promesse o illusioni mai realizzate; altre volte ancora  sono soltanto la nostalgia di una figura di riferimento,  importante e forse decisiva specialmente nella fanciullezza ed adolescenza.

A questo proposito è interessante la riflessione di Massimo  Recalcati nel suo libro “Il complesso di Telemaco”.(3 )

“L’autore si chiede cosa resta del padre nel tempo della sua dissolvenza.
Telemaco diventa “un punto luce” in questo percorso di ricerca sul padre; inoltre in questo suo scritto Recalcati  fa un interessante confronto tra Edipo figura mitica della tragedia greca e Telemaco. Per Recalcati, Edipo incarna la “Trasgressione della Legge”, Telemaco “L’invocazione della Legge”.
Edipo vive il proprio padre come un rivale, uccide il padre e possiede sessualmente la madre, il suo pesante senso di colpa lo spingerà ad un gesto estremo che è l’auto-accecamento.
Telemaco invece cerca il padre e lo investe di speranza, augurio, come colui che porterà giustizia, infatti Telemaco si rivolge all’orizzonte per vedere se” qualcosa torna dal mare.

Federico del Monaco autore e regista di numerosi spettacoli teatrali, reading poetici, cortometraggi, testi di canzoni, sceneggiature, raccolte di poesie, racconti, saggi e un romanzo, fino alla recentissima monografia su Ivan Graziani trasposto anche sul palcoscenico ha letto una lettera al “signor K”  che  scrive lui stesso.  In questa lettera

Federico Del Monaco legge “Lettera a K”

Luciano Giovannini  che insegna lingua e letteratura inglese presso un istituto secondario superiore di Palestrina (Roma) e che  ha riscoperto la poesia nel marzo 2020, dopo circa quaranta anni. partecipando così  ai più importanti premi letterari nazionali ed internazionali ottenendo risultati di assoluto rilievo, proprio con una poesia ha raccontato la vita e le opere di Kafka.

Luciano Giovannini legge la sua poesia “Kafka Cafè”

Emanuela Gentilini  con il suo stile sempre  veloce  che corre su due piani paralleli, quello della poesia a tematiche sociali e quello della poesia più personale, con un linguaggio schietto, diretto e coinvolgente ha letto le sue due composizioni  dedicate a Kafka per questa agenda.

Emanuela Gentilini legge le sue poesie

Roberta Placida che vive ad Avezzano dove insegna lettere presso il Liceo Scientifico “Vitruvio”, per questa agenda ha letto una lettera a suo padre che non c’è più nella quale  con accenti di nostalgia ma anche con un sagace realismo  ci presenta questa figura come origine ,non solo biologica, ma etica, morale, vitale, delle sue convinzioni e del suo attuale modo di essere. Dal padre è nata  e dal padre nasce ogni altra cosa che la riguarda e le appartiene compreso questo nuovo cammino  dovuto proprio all’assenza -non assenza del padre . Infatti Roberta Placida appassionata di scrittura, poesia e arte,  rompe gli argini e apre gli orizzonti alla sua vena poetica  subito dopo l’improvvisa morte del padre: da allora quei versi che per tanto tempo erano nella sua anima come ospiti silenziosi, decidono di “svegliarsi” e di trovare una forma nella pagina scritta. Nasce così Haikugrafia, edito dalla Daimon Edizioni, libro di haiga in cui l’autrice coniuga l’amore per la fotografia alla scrittura di haiku, la forma poetica per lei più immediata per dare vita e corpo al proprio sentire. Il libro è stato utilizzato in diverse scuole per i laboratori di scrittura haiku.

 

Roberta Placida legge “Lettera al (mio) padre”

 

Antonella Colonna Villasi  responsabile del Centro Studi sull’Intelligence – U.N.I., iscritto agli enti di ricerca del MIUR, MISE e della Commissione Europea, , collaboratrice di  numerose riviste scientifiche, con articoli su Intelligence e Sicurezza, insegnante  di  Intelligence in numerose agenzie ed università , ha tracciato nel suo contributo per l’Agenda un profilo psicologico delle opere di Kafka.

Antonella Colonna Vilasi

Franz Kafka dunque, il racconto della sua vita, delle sue opere, della sua attualità da tenere avanti agli occhi con lo scorrere dei giorni, delle settimane, dei mesi di un intero anno.  Un modo di  riprendere in mano le sue pagine , le sue opere e  leggerle e rileggerle  alla scoperta  sempre nuova di temi e problemi antichi che nel corso dei secoli hanno  accompagnato il cammino dell’uomo e delle società da lui organizzate e che  vanno ancora affrontati nel nostro presente. Un modo di guardare al mondo proprio  con le tematiche della sua vita  e delle sue opere : l’esclusione, la colpa, la condanna, l’incomunicabilità, la solitudine, l’angoscia dell’uomo di fronte al mistero della vita e della sua impotenza a trovare risposte al problema del male e della esistenza di  Dio.

L’Agenda 2024: un anno da riempire di significato giorno dopo giorno

Un’agenda per riempire di significato per ciascuno di noi giorno dopo giorno,  stando a quello che ci accadrà in questo prossimo anno di bene e di male, le allegorie di una narrazione che si avvale  di potenti e oscure figurazioni  appunto “allegoriche” che si offrono a interpretazioni non univoche, a significati ambivalenti, definite dalla critica «allegorie vuote» perché vanno riempite di significato .

Ossia lasciarsi portare da Kafka  in contesti onirici, deformati, inumani cosa che fa  attraverso una lingua limpida, oggettuale, semplificata. Per compiere appunto un cammino, percorrere un sentiero , come i protagonisti del racconto kafkiano. Un modo di guardare al mondo e forse un modo di  adottare la stessa tecnica per le cose che ci accadranno : adottare come capita per i protagonisti delle storie di Kafka  un punto di vista  per lo più soggettivo e interno, cosa  fondamentale per vivere in prima persona ( come fa il lettore di Kafka ) la mancanza di informazioni come il rendersi conto progressivamente del mutare degli elementi . Potrebbe essere una salvezza perché significa in altre parole essere disponibili al cambiamento

Sono passati 140 anni dal 3 luglio 1883,  anno della sua nascita e cento anni  dalla data della sua morte   ma l’uomo con la sua sensibilità e con la sua capacità di descrizione  del mondo anche con accenti  delicati e soprattutto onesti resta una figura centrale  della letteratura del XX secolo.

Nel 1913 esordisce con la raccolta di prose, Meditazione. Nel 1915 pubblica il suo racconto più celebre La metamorfosi. Il 1916 è l’anno de La condanna, seguono poi Nella colonia penale(1919),Il medico di campagna(1919)La costruzione della muraglia cinese e tre romanzi incompiuti  America(1924),Il processo(1924) e Il castello (1926).

L’edizione originale delle opere kafkiane è costituita dal Gesammelte Werke  a cura di  Max Brod,Fischer , Frankfurt am  Main  1950-74 in undici volumi. Una edizione in sette volumi della  stessa opera a cura di Max Brod è apparsa nel 1976 ( Fischer Taschenbuch Verlag ivi ).In italiano Opera omnia  in 3 voll. Romanzi, Racconti , Confessioni e Diari  a cura di E Pocar  è stata pubblicata da Mondadori ,Milano, 1969-72.

 

Per approfondire la conoscenza di questa figura abbiamo a disposizione  molte opere di analisi e critica. Tra queste se ne possono segnalare alcune a parere  di chi scrive  senza però  dimenticare tutte le altre  che facilmente si trovano nelle librerie, specialmente quelle on line.

“L’animale della foresta”  Di Roberto Calasso | Adelphi, 2023. La voce affascinante e appassionata di Roberto Calasso torna in un saggio breve e densissimo su uno dei suoi grandi amori: l’opera di Kafka.
Si legge sul sito dell’editore a proposito di questa opera : “Tutti gli scritti di Kafka sono attraversati dalla presenza del Nemico. Ma il suo nome si dichiarò soltanto alla fine, nei tre lunghi racconti di animali – Ricerche di un cane, Josefine la cantante o il popolo dei topi, La tana – che hanno scandito gli ultimi mesi della sua vita, chiudendola come un sigillo. Non si trattava di un tribunale ubiquo e ferreo, come nel Processo, né di un’autorità avvolgente, che poteva attirare a sé e al tempo stesso condannare, come nel Castello. Ma di animali dispersi e brulicanti, sopra e sotto la superficie della terra. Erano diventati gli unici interlocutori di colui che narrava. Come se Kafka fosse voluto scendere in uno strato più largo di ciò che è, là dove gli uomini possono essere una presenza superflua. A quel luogo – separato dal mondo ma da sempre già presente – e al suo ideatore è dedicato questo libro, che è insieme la via più diretta e labirintica per raggiungerlo.  “

“Kafka” di Pietro Citati, Adelphi , 2007. John Banville dice di quest’opera:  «Il libro di Citati è “impuro”; esattamente. Assomiglia a un diario privato che abbia per tema Kafka; ha l’erratica densità di un epistolario, un vasto taccuino, uno zibaldone su un unico tema; ma contemporaneamente è un libro costruito con estrema attenzione, come si costruisce un romanzo, una autobiografia, non una biografia, perché malgrado le citazioni e i riferimenti fattuali, Per Giorgio Manganelli  il libro di Citati non è una biografia. Ma, allora, che cosa è? È letteratura» . «Il metodo di Citati è singolare e complesso: ha letto tutti i libri di Kafka e probabilmente tutto quanto è stato scritto su di lui, e ha dato vita a un libro che non è una biografia quanto piuttosto una meditazione, quasi la vita di un santo… Con eleganza ma irresistibilmente Citati ci accompagna sin nelle profondità di un’anima… Gran parte del piacere che proviamo leggendo Kafka sta nella scrittura. Citati è uno stilista meraviglioso»

“Kafka per una letteratura minore “ di Gilles Deleuze Félix Guattari | Quodlibet, 2021″Come entrare in un’opera come quella di Kafka? un’opera che è un rizoma, una tana?”. Proprio come il Castello, essa presenta molteplici ingressi, senza che si sappia quali siano le leggi che ne regolano l’uso e la distribuzione. Si potrà allora entrare da un punto qualsiasi, non ce n’è uno che valga più dell’altro, nessun ingresso è principale o secondario. Deleuze e Guattari scelgono di partire dal concetto di lingua (e letteratura) minore, facendone il cardine di un vero e proprio programma filosofico-politico e la chiave per rileggere, insieme con l’opera di Kafka, tutta la letteratura del Novecento. Letteratura minore non vuol dire letteratura in una lingua minore, ma letteratura di una minoranza che impiega una lingua maggiore. Di fronte a una triplice impossibilità (impossibilità di non scrivere, impossibilità di scrivere in tedesco, impossibilità di scrivere in un’altra lingua), Kafka ha deciso di usare – e qui sta il suo genio – il tedesco come lingua minore. “Di grande, di rivoluzionario non c’è che il minore. Odiare ogni letteratura di padroni. Attrazione di Kafka per i servi e gli impiegati – stessa cosa, in Proust, per i servi e il loro linguaggio. Ma, altrettanto interessante, la possibilità di fare della propria lingua un uso minore. Essere nella propria lingua come uno straniero… Quanti stili, o generi, o movimenti letterari, anche minimi, sognano una cosa sola: assolvere una funzione maggiore del linguaggio, offrire i propri servizi come lingua di Stato, lingua ufficiale… Fare il sogno al contrario: saper creare un divenir-minore – c’è una chance per quella filosofia che per secoli formò un genere ufficiale e referenziale? Oggi l’antifilosofia vuol essere linguaggio del potere. “.

“Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno  ovvero guardando Kafka“ di Philip Roth | Einaudi, 2011. “  È l’estate del 1923 quando in due stanze in un sobborgo di Berlino una nuova coppia dà inizio al suo futuro comune. Lei si chiama Dora Dymant, lui Franz Kafka, e quello è l’ultimo anno della sua vita. Prima di allora ci sono state altre due brave ragazze ebree nella vita di Kafka, Felice e Julie, poi la passionale, anticonformista Milena. Ma lui è già “sposato con l’angoscia a Praga” e un altro matrimonio non ci sta. È solo con la giovane Dora che Kafka, avvicinandosi alla fine, riesce a svincolarsi dalla città nativa e a pensarsi, seppur per poco, libero di amare. E se fosse sopravvissuto alla tubercolosi che lo condusse a morte precoce? Se addirittura fosse scampato all’olocausto che si prese tutte le sue sorelle, rifugiandosi all’estero, magari in America, magari in un’accogliente comunità ebraica? Cosa sarebbe accaduto se il cantore di ogni forma di assoggettamento, vincolo, coercizione fosse riuscito a sfuggire? Quali inediti appagamenti il Nuovo Mondo delle mille possibilità avrebbe potuto riservargli? Philip Roth immagina per noi lo scenario e, incrociando quell’orizzonte letterario e umano al proprio, dà vita a una piccola gemma di lucidità critica e insieme di spassoso estro narrativo. “

“Capoversi su Kafka” di Franco Fortini, Ed. Hacca, 2018 Scrive Giuseppe Lupo:  “Potrebbero addirittura commuovere le parole che Franco Fortini rivolge a Kafka in un testo uscito sulla «Lettura» del 17 gennaio del 1946, forse perché pensate da un giovane che all’epoca non aveva ancora compiuto trent’anni e sentiva il peso della Storia attaccata come fango alle suole delle scarpe. «Kafka è morto nel 1924» – scrive -. «Potrebb’esser morto l’anno passato, a Auschwitz, o a Belsen, questo ebreo di Praga». […] Posticipare di vent’anni la sua morte (nient’altro che un’ipotesi suggestiva, una chiave di lettura a posteriori) è dunque un espediente attraverso cui Fortini intende fissare una propria categoria interpretativa, l’unica a suo giudizio in grado di dare credibilità all’idea di un Kafka che travalica le porte del tempo per farsi “angelo della Storia”, secondo la definizione di Walter Benjamin, per avvalorare in altre parole l’immagine di un Kafka trattato alla maniera di un profeta o di un legislatore i cui passi provengono dal passato e si rivolgono all’infinito. «Egli ha saputo quello che noi abbiamo soltanto vissuto»: è sempre Fortini che scrive così. Sapere è qualcosa che precede l’azione del vivere, è la lucida epifania di chi ha già visto l’apocalisse e la vuole raccontare a un’umanità incredula.”

Franz Kafka, un autore sulle cui pagine bisogna dunque  riflettere per tutta una serie di motivazioni e di implicazioni  a cominciare proprio da uno dei capisaldi  dei temi che Kafka mette in campo per  delineare  delimitare, decifrare i personaggi dei suoi romanzi e racconti: la colpa. Un sentimento che gli appartiene, che appartiene anche alla sua biografia, nato fin dall’infanzia per il suo rapporto con il padre  e alimentato per tutta la sua vita. Scrive  infatti Andrea Talarico  (4): “ Quanto di assurdo c’è nelle opere di Kafka non è in assoluto contrario alla ragione (mi riferisco soprattutto a Il Processo e Il Castello), né è in sé stesso contraddittorio: lo è solo nella misura in cui cerchiamo di inserirlo nei nostri schemi logici (e intendo dei lettori medi di cultura europea, e occidentale in generale), è contrario a quella logica che fa riferimento ai nostri modelli di pensiero fondati sui nostri valori e, soprattutto, su quello che è il nostro concetto di normalità. Nel mondo costruito da Kafka, però, ad eccezione del protagonista, i restanti personaggi sembrano fare riferimento ad una logica che è “altra” rispetto alla nostra, ma non per questo irrazionale, anzi: la logica dei personaggi che popolano i racconti di Kafka è una logica ferrea e accettata universalmente, tanto che è la logica del protagonista ad essere considerata irrazionale e, spesso e volentieri, risibile. Il problema si crea dal momento in cui al protagonista viene attribuita una colpa che è tale in quanto trasgressione dei precetti derivanti dalla “altra logica” (rispetto al punto di vista condiviso dal lettore e dal protagonista); si genera in questo modo una sorta di cortocircuito logico, per cui il protagonista si ritrova ad essere colpevole di un’effrazione che non ha commesso (o che, a causa della differenza dei sistemi dei valori, crede di non aver commesso, il che per questi è sostanzialmente la stessa cosa) e l’incapacità di comprendere questa colpa è essa stessa una colpa, è avvertita come una colpa dal protagonista.”

 

(1) Il protagonista de “Il processo” è Joseph K.  Un giorno, di prima mattina  viene dichiarato in arresto senza però privarlo della libertà con una restrizione in carcere . K. scopre così di essere imputato in un processo. Si sottopone così agli ingranaggi di un giudizio che  affronta inizialmente secondo logica e razionalità ma che si dimostra senza logica e razionalità proprio perché  i tempi e modi di svolgimento del processo non vengono mai pienamente rivelati all’imputato.  A cominciare dallo stesso capo di imputazione che K. ignorerà  per tutto il corso del processo .Anche l’avvocato assunto da K. sembra muoversi con la stessa lentezza e opacità dell’intero processo, così K. rinuncia alla difesa. Nel giorno del suo trentunesimo compleanno, K. viene prelevato da due agenti del tribunale e giustiziato con una coltellata alla gola.

 

( 2) Martin Albrow La burocrazia  Il Mulino ,1974,pag.176

 

(3)Massimo Recalcati Il complesso di Telemaco, Feltrinelli ,2013

 

(4 )https://culturificio.org/kafka-assurdo-colpa-ebraismo/

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