DELLA POESIA  E DEL MONDO

DELLA POESIA  E DEL MONDO

 

Della poesia e del mondo sono le storie che gli uomini narrano da millenni. Da quando hanno inventato il linguaggio  che ha permesso di trasmettere attraverso l’oralità quelle storie. E poi con l’invenzione della scrittura che  articolando i generi ha permesso di fissare ,oltre che nella memoria anche su supporti diversi, quelle storie. Creando così un grande  deposito di  sapere   che è quello delle biblioteche  che di volta in volta si fa affresco e mosaico del mondo medesimo. In quel grande substrato che è il patrimonio delle biblioteche in cui  si affacciano mille mondi e soprattutto mille visioni dello stesso mondo .

 

Del resto  le stesse storie sono raccontate anche attraverso le pitture murali  per esempio nelle grotte  di Altamura, forse le più antiche che conosciamo, cavalli e bisonti dipinti, il senso ultimo e primo dell’esperienza umana nel mondo. Oppure sulle steli come quella di Rosetta. Insomma un mondo di  storie che attraversa il tempo del mondo per arrivare fino a noi e andare oltre .

 

La poesia è una di queste visioni  perché  senza regole tende ad interpretare le regole del mondo . Un concentrato dell’anima  che  si fa  avventura nella terra  della memoria, dell’oblio, della nostalgia del piacere, del dolore,  anche con una  ebbrezza lirica fino all’estasi o alla vertigine: tutto concentrato nella parola che non si ritrova più puro mezzo di comunicazione, ma realtà conoscente e svelante.

 

La parola della poesia  che mette assieme le sirene  che cantano ,per attrarre lo sventurato navigante perché gli riservano il destino del naufragio, come  le muse. Che mette assieme il mito e la fiaba della visita sulla luna raccontata da Ariosto ma anche da Neil Alden Armstrong (Wapakoneta, 5 agosto 1930 – Cincinnati, 25 agosto 2012)  astronauta e aviatore statunitense, primo uomo a posare piede sulla Luna alle 02:56:15 UTC del 21 luglio (22:56:15 EDT del 20 luglio) 1969 .Un allunaggio raccontato dalle parole di Tito Stagno in una diretta  televisiva Rai in bianco e nero.

La parola che mette la poesia al centro del mondo, ma in onore, a servizio delle cose migliori del mondo. Che senza la poesia non sarebbero comprensibili e rappresentabili. Non una fuga dalla realtà, ma la ricerca della pregnante capacità di riscrivere momento dopo momento qualcosa  che non è immutabile e per questo ha continuamente bisogno di  qualcuno che dica che quella realtà muta ,per cui esiste  ed ha continuazione.

Ed è come per il bambino che  si rivolge alla madre , che cerca  la madre perchè è la madre che gli dice che esiste. Senza la madre si sentirebbe perso, o meglio  ancora sentirebbe di non esistere. Cos’ il mondo si rivolge alla poesia per  sentire di esistere 

 

La misteriosa e travolgente realtà  che qualche volta  ci appare come creatura divina ,altra come diabolica essenza  delle cose stravolte, senza la poesia  non si perpetua, ma anzi impallidisce e si estingue. La poesia che non è  una realtà considerata effimera (il modello di Petrarca, che fa scuola per secoli), lontanissima dal ridursi a una ludica o sentimentale rappresentazione del mondo (l’archetipo fanciullesco di tutti i poeti mancati),  è il cuore della realtà, e nello stesso tempo la chiave per aprirne le porte .

A lungo il petrarchismo , come fenomeno internazionale ,portò alla imitazione  della sua poetica che guarda la realtà in modo  concreto, a partire dal basso medioevo fino  alla prima parte dell’età moderna. 

 

Una poesia dunque che immagina il mondo ma  attraverso la presa di coscienza della realtà. Una poesia che costruisce mondi ,non in alternativa al mondo vero ma consequenziali al mondo reale stesso. Per esempio  immaginazione, estasi e magia sono tre delle parole chiave di Novalis, come per l’altro grande poeta romantico , l’inglese S.T. Coleridge, l’autore della Ballata del vecchio marinaio, anche  per il quale l’immaginazione è causa e condizione di conoscenza reale, non astratta, ma svelante e viva. 

 

La poesia dunque , le sue parole nel mondo e attraverso  la sua storia del mondo  . Ma  dopo questo breve discorrere sulla sua essenza fatta di parola, spazi vuoti,  sonorità e silenzi  e sulla sua funzione  e logica  non possiamo non domandarci : ma  per l’uomo di oggi che cos’è  la poesia.  E’ ancora lirica   nel senso classico della parola , è emozione, è… Certo la poesia sui social sembra una pianta infestante che ha colonizzato ogni altra coltivazione della vita . L’uso e l’abuso della poesia sui social  depone  a favore di una tesi : la poesia per i contemporanei  è essenzialmente, potremmo dire quasi unicamente, espressione di emozioni e di sentimenti, a cui la forma letterariamente ricercata ed elaborata fornisce più ampie e profonde valenze comunicative.  Ecco uno strumento per abbellire  , ma anche per confondere l’essenza delle emozioni  e dei sentimenti ,che si la poesia nei secoli ha sempre tenuto da conto e ha sempre   tradotto dal particolare personale e familiare  in  espressioni universali , ma che poi in definitiva sono ben altra cosa. Infatti emozioni e sentimenti  fanno parte della storia  del nostro progressivo renderci umani .Le emozioni sono guidate dagli eventi, mentre i sentimenti sono comportamenti appresi che di solito rimangono  in letargo fino a quando non vengono innescati da un evento esterno. Le emozioni ci dicono quello che ci piace e che non ci piace. I sentimenti ci dicono “come vivere.” 

 

D’altra parte  una superfetazione della poesia viene lamentata da sempre,  tanto che Alfonso Berardinelli  in Poesia non poesia, Einaudi, 2008 ,scriveva  : “Orazio lamentava che i poeti fossero innumerevoli. Quevedo scriveva che “Dio aveva mandato un’epidemia di poeti in Spagna per punirci dei nostri peccati; due secoli dopo Pietro Giordani si lamentava con Leopardi che ormai chiunque sapesse leggere e scrivere si riteneva in grado di impugnare carta e penna e gettar giù versi a profusione; Osip Mandel’stam constatava con scoramento l’esistenza di un miserabile esercito di poeti che aveva invaso la Mosca rivoluzionaria”. Montale scrisse che “se Guglielmo Giannini, invece di fondare il movimento dell’Uomo Qualunque, avesse fondato il partito del Poeta Qualunque, con obbligo dello Stato di stampare a proprie spese i versi di ogni cittadino, avrebbe mandato almeno un centinaio di deputati in Parlamento”.

 

La storia  letteraria ci insegna come  emozioni e sentimenti  siano stati  raccontati dalla poesia attraverso la lirica , quella che oggi sembra essere scomparsa  perché lirica finisce per identificarsi con la poesia stessa  e non è più una delle forme della creatività in versi.

 

La conseguenza è che  la prima a morire  nella nostra società è la poesia quando ci troviamo per esempio in contesti di guerra.   

 

A morire per prima in una guerra  è la poesia. Almeno nella guerra moderna. Dove manca la parola poetica fiorita per secoli in occasione  delle guerre d’altri tempi. In quelle guerre il racconto aveva parole per il dramma, la tragedia,  l’amore ,la sublimazione della morte , il dolore, la  pietà. Oggi tra le bombe c’è silenzio , un silenzio di devastazione, morte. Non si sentono più i canti come accadeva  in passato. Mi riferisco ad opere come l’Iliade ,prima di tutte , che raccontando la guerra innalza un canto  di pace. Nell’VIII secolo a.C. Omero scrisse l’Iliade, un poema epico in cui narrò la terribile guerra che contrappose greci e troiani. Il poema non esalta però le virtù della guerra, piuttosto evoca l’orrore e la distruzione che questa comporta. Lurgrós, polúdakros, dusêlegês, ainós. Miserabile, lacrimosa, dolorosa, raccapricciante. Così viene descritta la guerra nell’Iliade

 

Quando Paride rivolgendosi al fratello Ettore Paride  proponendogli che sfiderà Menelao a duello mentre il resto dei loro eserciti, gli achei e i troiani, «giurando fedelmente patti d’amicizia» rimarranno a Troia «dove il suolo è ricco, o ritorneranno a pascolare i cavalli ad Argo e Acaia, che ha vanto di femmine belle». Ettore fa immediatamente quest’offerta agli achei. Menelao accetta e viene stipulato un trattato per consacrare l’esito del duello. (1)

Così disse, e sia gli achei che i troiani si rallegrarono, sperando che ciò ponesse fine a quella guerra sanguinaria. Fermarono i carri lungo le file, essi stessi scesero, si tolsero le armi e le collocarono a terra una vicino all’altra, e nel mezzo restava solo un piccolo spazio… E così tutti i troiani e gli achei ripetevano: «Giove possente e voi, tutti quanti, Celesti immortali, possa chi primo ardisse peccar contro i giuramenti, a qualunque bando appartenga, il cervello sparso cadergli a terra, cadere ai suoi figli, come ora si sparge questo vino, e possano le loro mogli essere violentate da altri uomini». Così parlò; ma il figlio di Crono [Giove] non volle ascoltarli. (Libro III) 

“Sono parole “grandiose “ quelle che si leggono nel poema , è un canto poetico :i soldati di entrambi gli eserciti che innalzano una furiosa preghiera per tornare a casa in pace.  E poi il pathos per il nemico umanizzato e sconfitto. Questa rappresentazione drammatica dell’avversario risulta più evidente in alcune grandi scene memorabili, che rientrano senza dubbio tra le più grandi pagine della letteratura. Per esempio il momento in cui il guerriero troiano Ettore si separa da sua moglie Andromaca e dal loro figlio, all’interno delle mura di Troia, e lei lo prega di non tornare in battaglia: 

 

[…] costei ch’ivi allor corse
Ad incontrarlo; e seco iva l’ancella
Tra le braccia portando il pargoletto
Unico figlio dell’eroe troiano,
Bambino leggiadro come stella. […]
Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque.
Ma di gran pianto Andromaca bagnata
Accostossi al marito, e per la mano
Stringendolo, e per nome in dolce suono
Chiamandolo, proruppe: […] Il tuo valore ti perderà: nessuna
Pietà del figlio né di me tu senti,
Crudele, di me che vedova infelice
Rimarrò tra poco, perché tutti
Di conserto gli Achei contro te solo
Si scaglieranno a trucidarti intesi;
E a me sia meglio allor, se mi sei tolto
L’andar sotterra.
(Libro VI) 

 

Lungo sarebbe partendo dall’Iliade  solo ricordare  le scene memorabili di grandi opere letterarie  in cui appunto fiorisce una parola poetica  che è capace come nell’Iliade per opera di Omero di trasformare  il racconto di una guerra in una sublime e trascendente evocazione della devastazione che la guerra, non solo questa ma qualsiasi guerra, e in qualsiasi epoca, porta necessariamente con sé.   

Mi limito quindi a ricordare uno, per tutti, Giuseppe  Ungaretti e le sue poesie sulla guerra  di cui ho già parlato in un’altra sede . Undici componimenti costituiscono il piccolo tesoro  che Giuseppe Ungaretti dedica, nella raccolta  L’Allegria , ai temi della guerra .Si tratta di poesie che sviluppano sensazioni inerenti al conflitto, alla quotidiana convivenza con i morti e con i feriti, giorno e notte a contatto con la violenza e con l’odio che si contrappongono sui due fronti.

Il poeta ha fornito un chiarimento sull’aspetto che riguarda la sua esperienza della prima linea:

«Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere un uomo che fa la guerra, non è l’idea di uccidere o di essere ucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era rappresentato dalla morte. Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, nel Porto sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono anzi un uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s’imponesse per eliminare la guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte si illudono e si mettono dietro alle bubbole». (Giuseppe Ungaretti in L’allegria pag. 520 – 521). 

 

VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore

Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.

Parole che da sole rappresentano una lettera d’amore, attaccato alla vita come non mai. Nella drammaticità della situazione, percepisce solo la propria volontà di vivere, che prevale su tutto. Anche questa consuetudine con la tragedia induce una riflessione sull’umanità/disumanità .

Ho portato ad esempio Giuseppe Ungaretti perché nell’ermetismo dei suoi versi la parola poetica risalta, trasluce, abbaglia, insomma innamora  emozione e sentimento avvincendoli ad un pieno di realtà che è quello della guerra che dall’inizio della storia dell’umanità rappresenta quell’evento  decisivo  per il destino dei singoli, delle comunità.

 

Proprio pensando alla storia dell’uomo   non si può ignorare come la poesia nel mondo greco e romano abbia raccontato emozioni e sentimenti di cui parlavamo prima  in termini lirici proprio nel significato spiegato dalla  omonima voce del Dizionario Treccani : 1. “ poesia lirica, nei due distinti sign.: quello originario, di poesia che, presso i Greci, veniva cantata con l’accompagnamento del suono della lira, e quello più moderno, di poesia affettiva, nella quale prevale l’espressione della pura soggettività del poeta. 2. In senso concr., componimento poetico del genere lirico, sia nelle forme tradizionali della poesia lirica classica, sia in quelle affermatesi nelle letterature moderne (canzone, ballata, sonetto, madrigale, stornello, ecc., fino ai componimenti liberi della poesia contemporanea)” 

 

Nel mondo greco la narrazione epica raccontò modelli e valori di una civiltà  trasmettendoli nei secoli  per farli conoscere. Nacquero  quei Poemi ciclici  che forse sono anche alla base dell’Iliade e dell’Odissea , due poemi omerici  che hanno  esaltato con la parola poetica alcuni  valori come coraggio, eroismo ,fedeltà alla famiglia e agli amici , perseveranza e rispetto della tradizione. Quei valori fondavano un mondo . Fino ad Esiodo per esempio che e a tutta quella miriade di filosofi che hanno   espresso concezioni  morali e politiche che  sono arrivate fino a noi  e che rappresentano il substrato culturale di molte delle nostre istituzioni e delle nostre convinzioni .  Fino a Talete  il genere letterario con cui si è espressa la  filosofia è stata la poesia. È con Platone che nasce la forma del dialogo e quindi  il dialogo in prosa .

I grandi temi della vita : il male, il dolore, la morte  con la poesia greca si sono incarnati  nei personaggi e nelle loro vicende da Alceo e Saffo, fino ad Aristofane.

E devo anche dire. a proposito della poesia greca e dei lirici greci. che la dimostrazione di come quella poesia  seppe trovare  tutte le parole e le forme dell’interpretazione della realtà  è l’antologia tradotta da Salvatore Quasimodo  dal titolo appunto Lirici greci .Una silloge  di traduzioni di versi di poeti  classici greci  pubblicato nel 1940 per le edizioni Corrente  ( oggi nei Meridiani di Mondadori ) con un saggio critico di  Luciano Anceschi. L’opera ha una valenza di opera poetica originale, tanto da destare un acceso confronto tra chi ne disapprovava la libertà delle traduzioni e chi ne apprezzava la modernità del linguaggio.   

 

Tanto che Salvatore Alvino nell’articolo di Minimaetmoralia “La mia lunghissima storia d’amore con i lirici greci di Quasimodo”  scrive : “La poesia italiana – e in particolare la poesia italiana del Novecento, nella quale operava Quasimodo – non dispone della stessa ricchezza metrica che aveva la lirica monodica del VI secolo, per la quale la musica e il ritmo avevano un’importanza molto più stringente che nella poesia moderna. Nella traduzione, l’endecasillabo può rappresentare una soluzione più che valida: sia perché è il metro più classico e più diffuso della tradizione italiana, sia perché fu usato anche nella metrica greca, nell’ambito della strofe saffica (formata tradizionalmente da tre endecasillabi saffici e da un adonio, ovvero un metro di cinque sillabe composto da un dattilo seguito da uno spondeo o da un trocheo); e perché, infine,a utilizzare la strofe saffica furono principalmente gli esponenti della lirica arcaica, tra i quali Alceo – che a quanto risulta ne fu l’inventore – e Saffo – che nell’antichità ne fece l’uso più ampio. “(2)

 

Ma non solo i lirici greci. Anche le parole di quella drammaturgia hanno un forte peso poetico nella. tradizione millenaria del teatro greco. La commedia greca e particolarmente incentrata sulla vita della città (specie Atene) e sui suoi personaggi pubblici. 

“Nell’Atene classica il teatro non è un privilegio per pochi, ma una grande festa per tutti: una festa religiosa, innanzitutto, parte integrante delle cerimonie in onore di Dioniso, le Grandi Dionisie (istituite o almeno riorganizzate da Pisistrato dopo la metà del VI secolo a.C.) che si svolgono nel mese di Elafebolione (marzo-aprile), e le Lenee, celebrate nel mese di Gamelione (gennaio-febbraio); il teatro svolge una propria, importante funzione anche nelle Dionisie rurali, feste itineranti che toccano i diversi demi dell’Attica e che si svolgono nel mese di Posideone (tra dicembre e gennaio). Questi festival teatrali sono organizzati come vere e proprie gare tra gli autori delle opere presentate (tragedie, drammi satireschi, commedie), sottoposte alla votazione di un collegio di giudici, selezionati per sorteggio, che ha il compito di premiare il vincitore: il concorso coinvolge e appassiona il pubblico, che è insieme spettatore, committente e giudice delle opere presentate, perché il collegio giudicante non può non tener conto delle sue preferenze e delle sue reazioni, dagli applausi ai fischi, di cui talvolta ci informano le fonti letterarie. “(3)

Ecco allora i più importanti e riconosciuti autori di tragedie, vissero tutti nel V secolo a.C.: Eschilo , Sofocle, Euripide. Ma che  dicono quelle tragedie . Ci raccontano i drammi quotidiani e i rapporti tra gli uomini, e la problematica maggiore sarà soprattutto in Euripide  non più il confronto con il volere della divinità, ma con le scelte degli altri uomini.  Ci raccontano insomma il mondo reale ma nelle parti recitate in trimetro giambico, il cui ritmo era sentito particolarmente affine al parlato e  nelle parti cantate in metri lirici. 

 

Federico Doglio nel dizionario lacomunicazione.it alla voce tragedia  scrive : “ Quando, nel 534 a.C., Pisistrato mette ordine nelle celebrazioni religiose pubbliche della città d’Atene e inserisce la rappresentazione di t. nelle Grandi Dionisie, la t. ha ancora caratteri prevalentemente religiosi: davanti alla skené (palcoscenico), lo spazio circolare dell’orchestra (luogo delle danze) ha, al suo centro, l’ara di Dioniso. E il coro, antico retaggio del ditirambo, ha un ruolo rilevante nelle tetralogie (tre t. e un dramma satiresco) che, dopo il 502, divennero frequenti nei concorsi drammatici cui partecipavano i migliori autori. I primi di cui ci è giunta notizia furono Pratina, Cherilo e Frinico, di cui si ricorda, proprio perché si trattava di un’eccezione, una t. politica, che osava rappresentare la distruzione di una colonia greca a opera dei Persiani: La presa di Mileto (493 a.C.). Il quinto secolo fu un periodo di eccezionale ricchezza per la poesia drammatica greca.”(4)

Dunque il primo tragico di cui possiamo leggere alcune opere è Eschilo (525-457) poi Sofocle (496-408) Il terzo grande tragico di cui sono sopravvissute le opere è Euripide (480/85-406). 

Ma a quel secolo appartiene anche Euclide  che con la sua geometria ricostruì il mondo  così che il  punto e la linea reinterpretarono l’armonia del creato. Dante conosceva la geometria di Euclide, tanto che lo colloca nel Limbo tra gli «spiriti magni» associandolo a Tolomeo: «Euclide geomètra e Tolomeo» (Inf. IV, 142). Quella geometria gli permise di esprimere i versi  immortali della sua Commedia quando per esempio con il concetto  euclideo di “punto” descrive la sua visione di Dio :

« Un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca. » 

(Par. XXVIII, 16-21 

 

Il punto euclideo è privo di dimensioni, quindi indivisibile e immateriale; dunque secondo Dante, in base alle teorie di S. Tommaso, è il simbolo più appropriato di Dio. 

 

O come nel canto  XVII del Paradiso  interamente concentrato sull’incontro tra Dante e il suo trisavolo Cacciaguida che gli annuncia l’esilio e lo legittima come poeta investito di una missione universale.
Le parole che i due si scambiano sono tra le più complesse e ricche di immagini della Commedia, alcune delle quali ricavate dalla geometria euclidea:


« O cara piota mia, che sì t’insusi,
che come veggion le terrene menti
non capere in triangol due ottusi,
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti » 

( Par. XVII, 13-18 

 

Il più famoso riferimento alla Geometria contenuto nella Commedia si trova solo pochi
versi prima della fine del poema e riguarda uno dei problemi più dibattuti nella storia
della Matematica: quello dell’esatta misura della circonferenza.
Dante alla fine del proprio viaggio ultraterreno per spiegare l’impossibilità di comprendere il mistero divino così si esprime:


«Qual è il geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova;
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi si indova.»
(Par. XXXIII, 133-138) (5)

 

Un aspetto  importante e interessate da considerare per questo breve  excursus  nel mondo greco è la sacralità  del poeta   e quindi della sua arte . A lui si affiancano sempre gli dei  ed è quindi l’intervento divino che  gli permette di svolgere il suo compito . L’invocazione alla Musa  all’inizio dell’Iliade e  dell’Odissea  è  il riconoscimento della domanda  agli dei perchè   insegnino al cantore la materia del racconto.

Esiodo dice di essere stato investito  della funzione del poeta direttamente  dalle Muse sul monte  Elicona.    

Scrive  Rosa Elisa Giangoia  in bombacarta.it “ Anche i poeti lirici attribuiscono esplicitamente alle Muse la funzione di ispiratrici di poesia. Pindaro in particolare stabilisce un rapporto privilegiato con le Muse, simbolo personificato dell’ispirazione e delle modalità della sua poesia. L’aiuto richiesto dai cantori alle Muse non è tanto relativo alla forma e all’espressione, quanto al contenuto: Omero, Esiodo, Pindaro non chiedono solo la capacità di saper comporre versi, ma soprattutto che venga loro insegnato il contenuto da dare ad essi. Proprio per questo favore loro concesso dalle Muse, l’aedo e più tardi il poeta erano considerati dalla comunità alla quale si rivolgevano, depositari di verità divine: non verità determinate nel tempo e nello spazio, storicamente contingenti, ma verità assolute che orientavano secondo obiettivi umanamente positivi la vita dell’uomo nella storia.” (6)

Nel mondo romano  che raccoglie l’eredità greca  la poesia epica da mitica diventa storica, in particolare con le Georgiche di Virgilio.

 

Continua Rosa Elisa Giangoia  “ La cultura letteraria romana, però, tra la tarda età repubblica e l’età augustea elabora una teoria della poesia di alto valore e di grande interesse, soprattutto grazie a due testi: l’orazione Pro Archia di Cicerone e l’Ars poetica di Orazio. Cicerone innanzitutto riprende la teoria tradizionale di considerare la figura del poeta sacra, in quanto depositario di una facoltà divina (qua re suo iure noster Ennius sanctos appellat poetas: per questo motivo a buon diritto il nostro Ennio chiama i poeti ‘sacri’, 8,18), poi esprime con determinazione, soprattutto in base alla sua esperienza personale, i vantaggi che la poesia permette di godere, tra i quali il primo è un notevole sollievo personale. Dice infatti: quia suppeditat nobis ubi et animus ex hoc forensi strepitu reficiatur et aures convicio defessae conquiescant (per il fatto che mi dà la possibilità di risollevare l’animo da questo chiasso del foro e fa sì che le orecchie, stanche per il vociare, trovino riposo, 6,12), ma tale sollievo acquisisce maggior valore se rivolto ad una pubblica utilità, in quanto deve vergognarsi di sprecare tempo con la poesia chi se ne interessa solo per scopi personali (neque ad communem adferre fructum neque in aspectum lucemque proferre: al punto da non poter trarre da questi niente per l’utilità comune, e da non pubblicare niente, 6,12). Ma in questa orazione comincia a delinearsi con chiarezza quale sia la reale funzione della poesia con la proclamazione dell’importanza della lode che ha il suo canale privilegiato proprio nella poesia, in quanto è la poesia che ha permesso che non andasse perduto il ricordo di grandi azioni, e questo è elemento di rilievo perché è diventato incentivo per compiere nuove gloriose imprese.

Quae iacerent in tenebris omnia, nisi litterarum lumen accederet. Quam multas nobis imagines non solum ad intuendum verum etiam ad imitandum fortissimorum virorum expressas scriptores et Greci et Latini reliquerunt!: ma tutti questi rimarrebbero immersi nelle tenebre, se l’illuminazione delle lettere non venisse in loro soccorso. Quanti ritratti perfetti di uomini straordinari, non solo da contemplare, ma anche da imitare ci hanno lasciato gli scrittori greci e latini! 6,14

Dunque una poesia  che si fonda sulla parola che a sua volta fonda i valori; una poesia che  diventa sacralità ad opera del poeta  investito direttamente dalla divinità attraverso le Muse di svolgere questa funzione nella società. Una poesia dunque dentro  la realtà del mondo moderno   ricordando, attraverso un excursus storico , anche la funzione della poesia nel mondo antico specialmente quello greco e romano . “

 

Le riflessioni fin qui esposte  sulla poesia e sul mondo  sono  però solo un immagine, una cartolina,un modo di riconsiderare, tra i tanti, un aspetto non esaustivo ma  importante. Resta molto lavoro da fare in questo senso  e l’augurio è che questo tassello contribuisca  alla costruzione di un mosaico  sempre più variegato per l’articolazione dei temi e delle ricerche in questo campo.

 

(1)https://www.storicang.it/a/liliade-guerra-epica-che-parla-di-pace_15141

(2)https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/la-mia-lunghissima-storia-damore-lirici-greci-quasimodo/

 

(3)Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook 

 

(4)https://lacomunicazione.it/voce/tragedia/

(5)‘‘Dante e la scienza – Geometria’’ in www.fmboschetto.it 

 

( 6 )https://bombacarta.com/2006/08/09/la-funzione-della-poesia-nel-mondo-antico/

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