“Donne dell’anima mia” di Isabel Allende, l’autobiografia per spiegare il femminismo

“Donne dell’anima mia” di Isabel Allende, l’autobiografia per spiegare il femminismo

recensione a cura di Daniela Sannipoli

Isabel Allende, Mujeres del alma mía. Plaza Janés, Penguin Random House Grupo Editorial, S.A.U., Barcelona, 2020, pp. 190, € 18,90.

 

Isabel Allende ci porta nel suo viaggio autobiografico per ripercorrere le tappe del suo credo e del suo impegno con il femminismo. Ricorda le donne che hanno lasciato un segno nella sua vita: di famiglia, amiche, scrittrici, artiste, ma anche quelle anonime che si rialzano dopo aver subito violenze. Il tragitto è lungo: l’autrice parte dalla propria infanzia e arriva al marzo del 2020, il periodo di piena pandemia in cui sta scrivendo il romanzo e che è quello della propria vecchiaia. Un percorso ricco di riferimenti a eventi storici e politici, che spiegano le ragioni delle sue convinzioni femministe e portano il lettore a interrogarsi con maggior profondità su temi cruciali dell’esistenza. Conferiscono originalità all’opera il ricorso all’autoironia e all’ironia, che sdrammatizza riflessioni spinose, e l’inserimento di alcune poesie a tema. La conclusione è un invito all’ottimismo.

 

 

“A Panchita, Paula, Lori, Mana, Nicole e alle altre donne straordinarie della mia vita”

È la dedica dell’autrice alle donne che hanno arricchito e lasciato un segno nella sua vita. Isabel Allende apre il suo romanzo autobiografico in modo deciso: “No exagero al decir que fui feminista desde el kindergarten, antes de que el concepto se conociera en mi familia”. Isabel non esagera nel dire che era femminista dall’epoca della scuola dell’infanzia, prima che il concetto si conoscesse nella sua famiglia. Le convinzioni dell’autrice nascono dalle condizioni in cui si trovò sua madre, Panchita, che abbandonata dal marito con i figli in fasce, dovette rifugiarsi nella casa dei genitori in Cile, dove Isabel trascorse i primi anni della sua infanzia. Una casa che ha lasciato immagini crude negli occhi di Isabel:

“[…] El resto de la casa era el reino desordenado de mi abuela, de los niños (mis dos hermanos y yo), los empleados domésticos, dos o tres perros sin raza discernible y gatos medio salvajes que se reproducían incontrolablemente detrás de la nevera; la cocinera ahogaba a las crías en un balde en el patio”.

Una casa con una sala da pranzo, un salone e una biblioteca a cui si era cercato di dare un’impronta di eleganza ma che si usavano poco. La parte restante della casa era il regno disordinato della nonna, in cui i gatti si riproducevano dietro al frigorifero e la cuoca affogava i cuccioli in un secchio nel patio. In questo personaggio, l’ironia che caratterizza lo stile di Isabel, si mescola all’orrore. In che modo questa scena ha segnato il sentire e la vita dell’autrice? L’orrore e la pena contro i quali Isabel bambina non poteva reagire, possono rappresentare un substrato importante rispetto al desiderio di rivendicazione e riscatto della prepotenza, da parte dell’autrice. Lei stessa afferma che la sua avversione al maschilismo iniziò durante l’infanzia, vedendo sua madre e le collaboratrici domestiche come vittime, la prima per aver sfidato le convenzioni e le seconde per le loro condizioni di povertà:

“Mi enojo contra el machismo comenzó en esos años de la infancia al ver a mi madre y a las empleadas de la casa como víctimas, subordinadas, sin recursos y sin voz, la primera por haber desafiado las convenciones y las otras por ser pobres”.

Proprio sulla condizione di povertà, l’autrice ci invita a una riflessione importante: i poveri sono svantaggiati e discriminati, ma la discriminazione di genere a lei pesava di più; perché dalla povertà si può uscire, ma dalla discriminazione di genere no:

“La peor discriminación es contra los pobres – siempre lo es – pero a mí me pesaba más la que soportaban las mujeres, porque me parecía que a veces se puede salir de la pobreza, pero nunca de la condición determinada por el género […]”. L’autrice si sofferma ad analizzare la sua vanità con ironia e autocritica, affermando di averla ereditata da sua madre, ma non gli stessi attributi fisici; per questo la sua vanità richiede molta disciplina:

“Carezco de los atributos físicos de Panchita, así que mi vanidad requiere mucha disciplina”. Isabel è una donna vanitosa e, come tale, per lei è dura invecchiare. Si sente attraente, ma nessuno lo nota e l’invisibilità la offende un po’: “Para una mujer presumida, como yo, es duro envejecer. Por dentro todavía soy seductora, pero nadie lo nota. Confieso que me ofende un poco la invisibilidad, prefiero ser al centro de atención”.

Il problema dell’invisibilità è strettamente legato all’anzianità (ricordo che ne parlò in un articolo Natalia Aspesi) e indirettamente alla parità di genere, perché per una donna anziana può essere difficile affermarsi e continuare a far valere i propri diritti.

L’autrice affronta la vecchiaia con un nuovo compagno e con ironia: per lui, è una super modella ma molto più bassa:

“Me ayuda mucho contar con un enamorado que me ve con el corazón; para Roger soy una super modelo, solo que mucho más bajita”.

Molto importante il riferimento al linguaggio sessista e all’uso dei pronomi, con le difficoltà che Isabel incontra come ispanofona e vivendo in California. Il riferimento storico ci porta alla ex-Yugoslavia, alle pratiche arrivate negli Stati Uniti e nel resto d’Europa per descrivere poi l’uso dei pronomi e delle desinenze. Per Isabel, il linguaggio determina il modo in cui pensiamo: “El lenguaje es muy importante porque suele determinar la forma en que pensamos. […]”.

L’autrice menziona la sua fondazione che opera contro la violenza e lo sfruttamento. L’ironia e il riferimento a fatti storici e politici si snodano durante tutta la narrazione, che termina con la riflessione sul periodo pandemico in cui l’autrice sta scrivendo e l’invito alla domanda più importante del nostro tempo: “¿Qué mundo queremos?” Che mondo vogliamo?

Se la pratica della narrazione autobiografica è terapeutica, possiamo con certezza dire che è servita all’autrice per salvarsi e, alla fine di questo libro, ci salviamo anche noi. Non possiamo omettere un appunto negativo: per essere un libro sul femminismo e in difesa delle donne, ci sono passaggi in cui si fa una spiacevole ironia nei confronti di Sophia Loren, che sembra rasentare l’invidia. Altri passaggi sono in contraddizione con il pensiero femminista. In generale, la narrazione è un ibrido tra il genere autobiografico e il saggio, che presenta ripetizioni e dettagli a volte superflui.

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