L’UNIVERSO DI DANTE 

Un progetto importante  che da oltre dieci anni vede gli scienziati impegnati  in un lavoro che ci  racconterà nuovi dettagli sulla storia del Cosmo. E non solo.  Cercherà  esopianeti, scaverà con lo sguardo dentro i buchi neri e sarà in grado di captare alcuni dei fenomeni più misteriosi dell’Universo, come l’energia e la materia oscura.  Sto parlando  di Extremely large telescope, questo il suo nome , chiamato confidenzialmente ELT . Si tratta di un “colossale”, è proprio il caso di definirlo con questo aggettivo, osservatorio ad infrarossi, che si sta costruendo  sul Cerro Armazones, uno dei rilievi del deserto di Atacama, in Cile, a oltre 3mila metri di altitudine.

Sarà gestito dall’Eso , l’organizzazione astronomica europea per la ricerca nell’emisfero australe (che ha tra i membri anche l’Italia. Si avvarrà di uno  specchio primario di ben 39 metri di diametro. Per questo è stato ribattezzato :  “il più grande occhio dell’uomo rivolto verso il cielo” e sarà in grado di percepire da solo più luce di tutti gli altri telescopi del Pianeta messi insieme.

È questo il futuro dell’osservazione terrestre della volta celeste . 

Ma non bisogna dimenticare  che cosa sono stati e che cosa sono anche gli osservatori  spaziali  che usano un telescopio.  Tra questi, l’elenco è lungo se si consulta per esempio sul web wilkipedia, il più famoso Hubble Space Telescope abbreviato in HST ,  lanciato in orbita terrestre bassa nel 1990 ed  ancora operativo . Primo telescopio spaziale , grande e versatile ,  è stato chiamato così in onore dell’astronomo Edwin Hubble, ed è uno dei Grandi Osservatori della NASA, assieme al Compton Gamma Ray Observatory, il Chandra X-ray Observatory e il Telescopio spaziale Spitzer. Hubble trasmette ancora  immagini  da studiare .La sua storia è lunga  e interessante e viene narrata da più fonti con  sempre più particolari avvincenti man mano che continua la sua missione  veramente speciale. Anche perchè  ha alimentato  per anni  quella immaginazione collettiva che  da sempre l’uomo ha condiviso   alzando gli occhi al cielo .

Ma anche in questo caso il futuro  per i telescopi spaziali è Euclid è un telescopio  spaziale  dell’Agenzia Spaziale europea  attualmente in sviluppo. Euclid avrà il compito  che servirà per studiare l’evoluzione dell’universo, la materia oscura  e l’energia oscura . Sarà dotato di un  telescopio  Korsch (anastigmatico  a tre specchi) nel visibile e infrarosso con uno specchio del diametro di 1,2 metri e verrà posto in  orbita halo  nel punto lagrangiano L2 del sistema  Sole-Terra.  Fa parte del programma di missioni spaziali Cosmic Vision  dell’ESA e, insieme a Herschel e Planck Surveyor, è una delle fondamenta delle osservazioni dallo spazio europee. 

A causa della guerra in Ucraina e sanzioni alla Russia, ESA ha dovuto rivedere la pianificazione dei lanci di alcune missioni. Tra queste Euclid e HERA saranno lanciate con Falcon 9 nel 2023 e nel 2024, EarthCARE su Vega-C. Novità anche per ExoMars. potuto essere lanciato con un Falcon 9 di SpaceX. Questa scelta è legata alla guerra in Ucraina che ha escluso l’immissione in orbita con un razzo Soyuz (per via delle sanzioni alla Russia e quindi anche all’agenzia spaziale Roscosmos). Le opzioni erano in realtà poche. Non esistono più Ariane 5 disponibili mentre  Ariane 6 non arriverà prima della fine del 2023 e i primi lanci sono già stati prenotati. Le novità non sono comunque terminate in quanto sono state date ulteriori informazioni anche su altre missioni come Hera , i satelliti per il monitoraggio della Terra e anche Exo Mars , che non sarà più lanciata per la fine del 2022 ma bisognerà aspettare almeno il 2024 (o addirittura fino al 2028). (1)

Il firmamento.

Visto dall’uomo  dalla Terra  ha sempre suscitato ammirazione, curiosità, stupore, paura, senso della precarietà. Insomma di fronte a questo spettacolo  immenso e straordinario  l’uomo, di volta in volta nel corso della sua storia,ha  alzato gli occhi  con grandi speranze . Una delle quali è stata realizzata dagli astronauti : permanere in quella immensità seppure ancorati alla terra  con un’orbita. L’astronauta: un uomo che ha potuto guardare la terra da un’altra prospettiva : non più una piatta distesa di montagne, valli, mari ma una ordinata  scena di meccanica celeste  semovente attorno  al sole. 

La meccanica celeste dunque ,le sue rappresentazioni nei secoli ,la sua osservazione  attraverso l’astrologia prima e l’astronomia dopo. Due grandi periodi , quello antico e quello moderno raccontano la storia di questo universo così come si è riusciti ad osservarli . In futuro chissà .  Un universo che non è stato sempre così come noi lo conosciamo . 

Molti popoli antichi  hanno osservato Sole, Luna e stelle  creando leggende , miti,  usanze , tradizioni . Per esempio già nell’antichità gli uomini sapevano che la Terra impiega un anno (365 giorni) per girare
attorno al Sole. Nelle varie culture tutti i calendari erano di 350-360 giorni (questo perché alcuni calendari si basavano sul ciclo lunare) ed erano di importanza fondamentale per le osservazioni dei fenomeni terrestri e celesti. Hanno poi attribuito  prerogative di divinità a Sole, Luna .

Attraverso i secoli gli uomini hanno immaginato dunque  l’universo che li circondava in forme sempre diverse. Sarà Aristotele a dare vita a quell’idea di universo “finito e ordinato” destinato a essere spazzato via dal cannocchiale e dalle intuizioni di Galileo Galilei.

L’importanza dell’osservazione del cielo presso le popolazioni antiche è stata rivalutata grazie all’archeoastronomia, scienza che studia le conoscenze di astronomia delle popolazioni antiche e le relative connessioni con la vita sociale e religiosa del periodo. 

La vera esplosione dell’interesse per l’astronomia emerse  prepotentemente nel neolitico, periodo che segna il passaggio da una economia di sussistenza ad una economia di produzione; l’uomo primitivo passava cioè da una vita nomade, fondata sulla raccolta e sulla caccia, ad una vita di stanziamento basata sull’agricoltura.  Quando l’uomo da cacciatore e raccoglitore si trasformò in agricoltore aveva bisogno di informazioni per costruire delle modalità di sussistenza, appunto attraverso la semina e la raccolta dei prodotti della terra. Così interrogava non solo i corsi d’acqua, le intemperie, la funzione dei monti ma anche  e soprattutto il cielo.

Nascono così i primi osservatori terrestri . Guido Crossard scrive per esempio : “Ogni stella è in levata eliaca in un periodo ben preciso e, quindi, tra due levate eliache successive di una stessa stella trascorre un anno.
Lo stesso discorso vale naturalmente per una stella in tramonto eliaco. Ma il metodo più semplice per stabilire la data è quello di seguire il moto apparente del Sole nel cielo, moto che, probabilmente, agli occhi di un uomo neolitico doveva apparire reale. Il Sole sorge verso sud-est nel giorno del solstizio d’inverno.
Successivamente, il punto di levata si sposta, raggiungendo, giorno dopo giorno, l’est, ove sorge nel giorno dell’equinozio di primavera. Quindi il punto di levata si sposta sempre più verso nord-est, fino a raggiungere un punto estremo nel giorno del solstizio d’estate. In tale giorno il Sole descrive l’arco più alto dell’anno, per tramontare verso nord-ovest. Successivamente il Sole sorge sempre più verso est, ove si leva nell’altro equinozio, quello d’autunno. Dunque per determinare la durata dell’anno e per stabilire la data era sufficiente seguire con continuità il moto del Sole: una serie di pali infissi nel terreno, e traguardati sempre dallo stesso punto, erano sufficienti a tale scopo. Successivamente, ai pali si sostituirono realizzazioni più stabili e monumentali, quali dolmen e menhir, molti dei quali presentano importanti significati astronomici. In Europa emergono alcune aree ben definite, nelle quali si individuano numerose realizzazioni megalitiche (da Mega=grande e lithos=pietra) astronomicamente orientate. (2)

 

Dice il Dizionario Treccani : “I documenti superstiti della scienza del cielo tra il IV sec. a.C. e il tardo II sec. d.C., come dire tra l’età di Aristotele (384/383-322) e quella di Claudio Tolomeo (100 ca.-178 ca.), sono irregolarmente distribuiti e incompleti. Per interi secoli e vaste regioni del mondo antico, ellenistico e romano, non ci è pervenuta nessuna testimonianza diretta dell’esistenza di una teoria degli oggetti celesti, e i pochi dati di cui disponiamo non contengono elementi che ci consentano di individuarne con precisione l’autore o la data. Inoltre, negli ultimi decenni del XX sec. lo studio di questi documenti è giunto a un’impasse critica” (…)La speranza in una storia globale che descriva la storia della scienza del cielo greco-latina da Aristotele a Tolomeo è destinata a rimanere delusa, semplicemente perché i testi che ci sono pervenuti non sono sufficienti a fondarla. (…)Fin quando gli storici che si richiamano alla strategia narrativa saranno costretti a derivare dalla storia più tarda la concezione della scienza del cielo e di quel che ne ha determinato lo sviluppo, essi saranno inevitabilmente portati a emarginare e a trascurare opere ed eventi più antichi di primaria importanza. Ciò è particolarmente vero per quanti fanno assegnamento sulla tradizione storiografica che deriva da Proclo e da Simplicio, il cui pensiero filosofico è in gran parte un’elaborazione e un commento delle opere di Platone (428/427-348/347) e di Aristotele, considerate come un tutto armonico. Così, per esempio, nelle opere di questi storici non si troveranno citazioni degne di nota dei Phaenomena di Arato di Soli (315 ca.-m. dopo il 240); eppure, dei circa sei documenti sulla scienza del cielo del III sec. giunti in nostro possesso, i Phaenomena (che dopo l’Iliade e l’Odissea di Omero erano l’opera più letta dell’Antichità) sono indiscutibilmente il testo più significativo. Inoltre, salvo qualche eccezione, gli storici che utilizzano la strategia narrativa generalmente trascurano l’influenza esercitata dalla scienza del cielo mesopotamica sulla storia di quella ellenica e romana, soprattutto nel periodo in esame. “

Al di là dunque della interessante discussione da parte degli storici per ricostruire la concezione  dell’universo nella antichità, che è pure interessante e che si può leggere  in modo abbastanza esaustivo per farse ne un’idea, proprio nella voce della Treccani che ho indicato sopra,  va  detto ,in sintesi assoluta,  che furono però Copernico, Keplero, Galilei, Newton fino a Einstein  a fondare e sviluppare la scienza dell’astronomia. Ossia a descrivere e sperimentare ( attraverso calcoli matematici, ipotesi , leggi e  ricerche)”il mondo fuori dal mondo “ ,in modo accurato e dunque sempre più vicino alla realtà. Anche se ancora oggi lo spazio più profondo rimane sconosciuto  e forse un poco misterioso .  Di quel mistero che ha alimentato secoli  di ipotesi circa  una storia astronomica.

Dice Thomas S. Kuhn in La rivoluzione copernicana (1957) « [L’Almagesto] fu il primo trattato organico e matematico che offriva una spiegazione completa, particolareggiata e quantitativa di tutti i moti
celesti. […] I suoi risultati furono così buoni ed i suoi metodi così efficaci che, dopo la morte di Tolomeo, il problema dei pianeti assunse una nuova forma. Il problema dei pianeti era diventato semplicemente un problema di disegno. […] Quale particolare combinazione di deferenti, eccentrici, equanti ed epicicli avrebbe spiegato i moti planetari con la massima semplicità e precisione? »

 

Ad un modello dell’antichità voglio però rifarmi perché nel considerare il cielo di Dante Alighieri nella Divina Commedia  che  è il  punto focale di questa riflessione  devo dire che la Divina Commedia è profondamente debitrice dei modelli aristotelici dell’universo .

 

Il sistema geocentrico, detto anche aristotelico-tolemaico, è un modello cosmologico che pone la Terra al centro dell’Universo, mentre tutti gli altri corpi celesti ruotano attorno ad essa. Tale sistema fu proposto dall’astronomo greco Eudosso di Cnido (IV sec. a.C.), discepolo di Platone che elaborò, la “dottrina delle sfere omocentriche”. Esso fu perfezionato da Callippo di Cizico, Aristotele, che nel De caelo ne diede un inquadramento concettuale quasi universalmente accettato dai dotti per circa due millenni e dal grande astronomo Tolomeo (II sec. d.C.). 

Il sistema geocentrico ebbe ampia diffusione nell’antichità e nel medioevo  perché ritenuto soddisfacente in termini astronomici e coerente con le opinioni filosofiche e religiose allora prevalenti, tanto che fu anche alla base della cosmologia dantesca nella Divina Commedia. Nell’antichità greco furono elaborati sistemi cosmologici alternativi. I pitagorici ad esempio intuirono il movimento della terra, mentre gli atomisti introdussero il concetto di universo infinito. Durante la rivoluzione scientifica (XVI-XVIII secolo) il modello aristotelico-tolemaico fu gradualmente sostituito da quello copernicano o eliocentrico, fortemente sostenuto da Galilei, Keplero e Newton, la cui evidenza sperimentale fu provata solo nel 1851 da J.B. Focault.con l’esperimento del pendolo (cosiddetto “pendolo di Focault”(3). 

L’universo aristotelico . “« Poiché le qualità elementari sono quattro [caldo, freddo, secco, umido], e di
quattro termini si danno sei combinazioni, e poiché, d’altra parte, i contrari non possono ovviamente formare una coppia (è impossibile, infatti, che il medesimo oggetto sia caldo e freddo oppure umido e secco), risulta con evidenza che le combinazioni degli elementi saranno quattro, vale a dire caldo-secco e caldo- umido, e, d’altra parte, freddo-secco e freddo-umido. E queste quattro combinazioni sono […] assegnate come proprietà ai corpi che sembrano semplici, vale a dire al fuoco, all’aria, all’acqua, e alla terra. Il fuoco, infatti, è caldo e secco, l’aria è calda e umida (giacché essa è una sorta di vapore), l’acqua è fredda e umida, la terra è fredda e secca. » (4)

L’etere aristotelico . « Che il corpo primo dunque è eterno, non s’accresce e non diminuisce, e non è soggetto ad invecchiamento, alterazione o altre affezioni […]risulta evidente da quanto ora esposto.
[…]Ed anche il suo nome pare che dagli antichi si sia tramandato fino ai nostri giorni […] Considerando il corpo primo come un’altra sostanza oltre a terra, fuoco, aria e acqua, essi chiamarono il luogo eccelso etere, e gli diedero questo nome perché esso corre sempre nell’eternità del tempo. » (5)
Un mondo eterno e immutabile « Perciò gli enti di lassù non son fatti per essere nel luogo, né li fa invecchiare il tempo, né si dà alcun mutamento in nessuno degli enti posti al di là dell’orbita più esterna, ma, inalterabili e sottratti ad ogni affezione, trascorrono essi tutta l’eternità in una vita che di tutte è la migliore e la più bastante a se medesima. »(6)
Un mondo chiuso .« È evidente dunque da quanto esposto che al di fuori del cielo non c’è, né è
ammissibile che venga ad essere, alcuna mole corporea; il mondo nella sua totalità è dunque formato di tutta la materia propria ad esso […] Cosicché né ora vi sono più cieli, ne vi furono, né è ammissibile che abbiano mai a sorgere: questo cielo è uno, e solo, e perfetto. » (7)
Dice Hermann Weyl ne Il mondo aperto (1932) « La Divina Commedia di Dante non è solo un poema di
grande potenza immaginativa, ma contiene anche una ben precisa costruzione teologica e geometrica del cosmo, attraverso la quale la filosofia cristiana adatta la cosmologia aristotelica alle sue proprie esigenze. »

 

Ma partiamo dal mondo naturale  che nella Commedia dantesca assume un grande rilievo . Perchè Dante  dimostra una così grande attenzione al mondo naturale dal quale probabilmente si sente attratto. Qual’è  il suo modo di guardare, forse curiosità, forse altro, il mondo naturale  che è  visto non solo nelle sue particolarità ma anche nella sua totalità.

Lo scrive  nel I Canto del Paradiso :

…Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l’universo a Dio fa simigliante

Qui veggion l’alte creature l’orma

de l’etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.

Nell’ordine ch’io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro ve men vicine.

[Par I (103-111)]

 

Ci sono nella Commedia due visioni dell’universo che Dante ci racconta oltre al grande affresco immaginifico che  fa della Commedia il poema dei poemi. 

La prima  è collegata alla  Geometria che, come egli dirà nell’ultimo canto della Divina Commedia,
è scienza che più di ogni altra può avvicinarsi a una pallida rappresentazione degli attributi trinitari:


“Qual è ’l geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,”
(Par XXXIII, 133-135)


La seconda è collegata alla Fisica (in particolare con la Teoria della Relatività), che pure ha suscitato interesse in studiosi .

Chi per primo ha individuato nell’opera dantesca la geometria non-euclidea è stato il matematico (scienziato, filosofo e prete ortodosso, il “Leonardo russo”) Pavel Alexandrovič Floren skij (1882-1937)1 che nel 1921, proprio in occasio ne dell’anniversario della morte di Dante, nell’opera “Gli immaginari in Geometria”  si esprime così :  “È mia opinione che l’esegesi degli immaginari qui proposta, in relazione ai principi particolari e generali della relatività, getti nuova luce e argomenti la rappresentazione del mondo aristotelico-tolemaico-dantesca, quanto mai compiutamente cristallizzata nella Divina Commedia [. . .] Il quadro di tale universo non è raffigurabile come da schemi euclidei, così come la metafisica   di Dante non è commensurabile con la filosofia di Kant. I matematici (Halsted nel 1905, Weber nel 1905, Simon nel 1912)3 hanno già rilevato in Dante un presentimento della geometria non euclidea.[…] la superficie su cui Dante si muove è tale che, [. . .] primo, in quan to contiene rette chiuse, è un piano di Riemann, e, secondo, in quanto capo volge la perpendicolare che su di essa si muove, è una superficie unilatera. Ta li condizioni sono sufficienti a caratterizzare geometricamente lo spazio di Dante come conformato alla geometria ellittica. [. . .] Con ciò si getta una luce inattesa sulla concezione medievale della finitezza del mondo. Col principio di relatività, tuttavia, tali considerazioni geometriche generali hanno trovato di recente una sorprendente interpretazione concreta, e dal punto di vista della fisica moderna lo spazio del mondo va inteso proprio come spazio ellittico e si considera come finito così come finito e chiuso in sé il tempo.” (8)

Il matematico svizzero Andreas Speiser (1885-1970), che aveva studiato a Gottinga con David Hilbert e Hermann Minkowski. Egli ne parla (nel 1925) nel libro “Classici frammenti della Matematica” in questi termini ]: “Dante possiede una chiara visione globale della complessa struttura spaziale nella sua totalità. Per le nove sfere del cielo, Dante recupera la rappresentazione di Aristotele, apportando un cambiamento fondamentale che riguarda la fine dello spazio: come può essere che la sfera più distante, che appare la
più grande, abbia in realtà le più piccole dimensioni? [. . .] Lo spazio di Dante è una varietà di Riemann con una fonte di energia che imprime ad esso la metrica.” 

Il fisico-matematico e filosofo Hermann Weyl (1855-1955) invece nel 1932 scrive [7] (33-34):La Divina Commedia di Dante non è solo un poema di grande potenza immaginativa, ma contiene anche una benprecisa costruzione teologica e geometrica del cosmo, attraverso la quale la filosofia cristiana adatta la cosmologia aristotelica alle sue proprie esigenze.[. . .] Dante fa convergere i raggi che si diffondono dal centro della terra, la sede di Satana, verso un polo opposto,la fonte della potenza divina, proprio come sulla sfera terrestre i meridiani che si irradiano dal Polo Sud si riuniscono al Polo Nord. La potenza del
Dio-persona deve irradiarsi dal centro,non può abbracciare la sfera del mondo rimanendo in quiete spaziale come il “primo motore immobile” di Aristotele. [. . .] I cerchi più interni, che cingono più da vicino la divina fonte di luce, per il fatto di contenere in massima misura la potenza divina, diventano quelli di massima estensione spaziale e racchiudono i cerchi più lontani. Nel linguaggio della matematica moderna, si potrebbe dire che Dante propone una dottrina che è stata ripresa da Einstein, anche se con motivazioni interamente differenti: si tratta della dottrina della chiusura dello spazio tridimensionale, ma dal polo della potenza divina s’irradia un campo metrico tale che la misura spaziale si riconnette alle condizioni
descritte da Aristotele.  “(9)

A scuola abbiamo appreso , studiando la Divina Commedia  che  al Per Dante la Terra era una sfera al centro dell’universo circondata da nove cieli; intorno a questi, ce n’era un decimo chiamato Empireo che racchiudeva quindi tutto l’universo e al di là del quale non esisteva niente.

L’Empireo era la sede di Dio, secondo Dante: la concezione dell’Universo è perciò finita.

Ma nello schema dantesco c’è anche una struttura aggiuntiva, che si trova separata, al di fuori del Primo Mobile, composta dai nove cerchi angelici, e la “candida rosa” che appare normalmente in una zona intermedia dello schema. Gli emisferi a loro volta erano divisi l’uno dall’altro ad ovest dalle colonne d’Ercole ed a est dal fiume Gange. Al centro della terra emersa si trovava Gerusalemme (terrà di Gesù) e sotto Gerusalemme la voragine infernale a forma di cono rovesciato.  Il vertice del cono coincideva con il centro della Terra dove si trovava Lucifero che stritola nelle sue fauci i 3 peccatori per eccellenza: Giuda, in quanto traditore di Gesù, Cassio e Bruto in quanto traditori di Cesare. I peccatori in questione tradirono le due massime autorità per Dante: la Chiesa e l’Impero

Nel Canto XXVII del Paradiso Dante sembra far sua la classica impostazione geocentrica medievale, e con Beatrice  alle soglie del Primo Mobile  afferma  

Luce e amor d’un cerchio lui comprende,

sì come questo li altri; e quel precinto

Colui che ‘l cinge solamente intende

[Par XXVII (112-114)]

 

l’Empireo è  un cerchio di luce ed amore che circonda l’universo sensibile. E ancora, riferito al Primo Mobile:

Le parti sue vivissime ed eccelse

sì uniforme son, ch’i’ non so dire

qual Beatrice per loco mi scelse

[Par XXVII (100-102)]

 

Dice Marco Bersanelli : “Il maggior corpo è luminosissimo e talmente uniforme che Dante non riesce a identificare il punto della sfera che Beatrice ha scelto per passare oltre, per entrare nell’Empireo. Ma quando nel canto XXVIII Dante e Beatrice si affacciano al ciel ch’è pura luce Dante ci racconta qualcosa di inaspettato: egli si trova davanti un altro universo (XXVIII, 71), fatto anch’esso di nove cerchi concentrici, la sede delle schiere angeliche che ruotano intorno a un punto: Da quel punto depende il cielo e tutta la natura (XXVIII, 41-42). Dio è dunque un punto infinitesimo e luminosissimo attorno al quale ruota una festa cosmica, l’Empireo strutturato in cerchi di fuoco. Quindi, si direbbe, in questa scena l’Empireo non è più posto intorno al Primo Mobile, come vuole la tradizione, ma sembra comporre un secondo universo esterno a quello sensibile. Insomma, una descrizione che appare palesemente contraddittoria. Inoltre, in questo schema il passaggio attraverso il Primo Mobile deve avvenire in un punto ben preciso, una “soglia” che conduce all’Empireo, contrariamente a quanto affermato in XXVII, 100-102.

Possibile che dopo tanta geniale e accurata narrazione, giunto al culmine del suo viaggio umano e cosmico Dante ci proponga un’architettura tanto precaria per l’universo? Ebbene, la considerazione attenta delle parole del Poeta induce a ipotizzare una lettura diversa, ardita ma a mio parere convincente, che fu proposta per la prima volta dal matematico tedesco Andreas Speiser nel 1925 e poi argomentata da vari autori. La contraddizione presuppone che noi stiamo immaginando di inserire l’universo descritto nelle terzine di Dante in uno spazio Euclideo. Supponiamo di disegnare lo schema dei cerchi concentrici non su un foglio piano, ma su un foglio sferico, a forma di mappamondo. Raffiguriamo la Terra come un polo, circondata dai cieli dei pianeti che tracciamo come cerchi che si allargano via via. Il più grande è il Primo Mobile, che corrisponde all’equatore della nostra mappa sferica. Andiamo avanti, attraversando l’equatore, e ci troviamo nell’altro emisfero. Qui troviamo i nove cerchi dell’Empireo, che convergono in un punto, “il Punto” dal quale depende il il cielo e tutta la natura. (10)

Continua Bersanelli : “In questo modo ogni contraddizione è risolta. Inoltre non c’è bisogno di alcuna “soglia” particolare che ci faccia passare dall’universo terreno a quello divino: ogni punto del Primo Mobile è equivalente a tutti gli altri. Naturalmente i cerchi tracciati sulle mappe, sia su quella piana che su quella curva, corrispondono nella realtà a delle serie di sfere concentriche. Nel primo caso, che corrisponde al classico schema aristotelico, i cerchi rappresentano le sfere di dimensione crescente dei pianeti, delle stelle fisse, del Primo Mobile e infine dell’Empireo. Non abbiamo alcun problema a immaginare questa geometria nelle tre dimensioni. Lo schema disegnato sul mappamondo, invece, tradotto nello spazio tridimensionale pone un problema di immaginazione. Via via che ci allontaniamo dal punto centrale (la Terra), le sfere aumentano di dimensioni fino al Primo Mobile. Andando ancora oltre si passa alle sfere dell’Empireo, le quali diminuiscono sempre di più fino a stringersi attorno al Punto divino. Eppure queste sfere più piccole circondano le sfere più grandi! Il Punto divino, pur essendo una sfera infinitesima, viene a comprendere tutte le sfere dell’universo. In questa visione il punto che rappresenta Dio risulta essere il centro dell’universo, e al tempo stesso lo circonda in ogni direzione, come Dante esplicitamente afferma nel Canto XXX (11-12): parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude.”

La Divina Commedia di Dante Alighieri rappresenta una occasione unica per incontrare una sintesi della visione cosmologica medievale. All’epoca di Dante, si riscopre la profondità del pensiero greco-latino che viene fuso nella mistica cristiana. Si può definire la Divina Commedia come la sintesi della concezione aristotelico-tolemaica filtrata attraverso la riflessione operata da San Tommaso d’Aquino con lo spirito
della cosmogonia platonica. 

Dante Alighieri però  nel Canto XXX del Purgatorio propone un universo più vicino a quello di Einstein che a quello di Aristotile.

E’ sorprendente il fatto che l’universo non-Euclideo di Dante presenti forti analogie con la geometria dello spazio-tempo secondo la cosmologia scientifica attuale, descritta nell’ambito della Relatività Generale di Einstein.

Il supplemento culturale de “Il Sole 24 ore”, annunciando il convegno di Palermo, la Settimana di Studi Danteschi, dedicata quest’anno  2010 al tema della giustizia.   ha pubblicato un lungo e lucido articolo-saggio firmato da Carlo Rovelli nel quale si spiega come l’Universo di Dante anticipi quello di Einstein in quanto esso ci è descritto come una “tre-sfera” o ipersfera, cioè una sfera inserita in uno spazio quadridimensionale. Carlo Rovelli, che insegna presso l’Université de la Méditerranée al Centro di fisica teorica di Luminy, ricorda che fu un matematico americano, Mark Peterson, già nel 1979, a segnalare questa interpretazione. L’idea fu poi ripresa nel 2006 nel libro di Horia-Roman Patapievici “Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante?” (Bruno Mondadori). 

Scrive Piero Bianucci su La Stampa : “Nella “Divina Commedia” l’astronomia è una presenza continua, sia emotiva e sentimentale (molti i riferimenti a Venere, Marte, stelle, costellazioni) sia teorica (la “lezione” sulla Luna che Beatrice impartisce a Dante nel secondo canto del Paradiso). Ma ancora più importante è la cosmologia, in quanto non è solo un paesaggio – l’imbuto dell’Inferno che termina con Lucifero incastrato centro della Terra, la montagna agli antipodi di Gerusalemme che costituisce il Purgatorio, le dieci sfere celesti del Paradiso. E’ la struttura stessa che innerva l’intero poema e permette a Dante di affrontare la sfida suprema: la rappresentazione di Dio. (…)Ovviamente Dante non fu il profeta né della geometria non euclidea di Riemann pubblicata nel 1854, né della relatività generale di Einstein. Il suo mondo a quattro dimensioni è l’inconsapevole risultato del tentativo di conciliare la cosmologia aristotelica con la visione cristiana: visibile e invisibile, materia e spirito, temporalità ed eternità. 

E chiudo questa lunga riflessione proprio con le parole di Carlo Rovelli  Salito fino alla sfera più esterna dell’universo aristotelico, Dante, invitato da Beatrice, guarda verso il basso. Vede tutti i cieli, e, giù in fondo, la , piccola Terra, che gli sembra girare lentamente sotto i suoi piedi. Poi Beatrice lo invita a guardare verso l’alto, fuori dall’Universo aristotelico, là dove secondo Aristotele non ci sarebbe più nulla di nulla, perché per Aristotele l’Universo ha un bordo dove tutto finisce.
Dante guarda e ha la straordinaria visione di un punto di luce circondato da nove immense sfere di angeli. Dove stanno questo punto di luce e le sfere angeliche, che sono fuori dall’Universo aristotelico? Dante lo dice in maniera incantevole: «questa altra parte dell’Universo d’un cerchio lui comprende, sì come questo li altri». E nel canto successivo: «parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude».
Il punto di luce e le sfere di angeli circondano l’Universo e insieme sono circondati dall’Universo. Che significa?
Per la maggior parte dei lettori, l’immagine di due insiemi di sfere concentriche ciascuno dei quali “inchiude” l’altro è solo un’oscura immagine poetica. I libri di testo dei licei disegnano il punto di luce e le sfere di angeli semplicemente fuori dall’universo aristotelico. Ma per un matematico o un cosmologo di oggi, la descrizione della forma dell’Universo data da Dante è perfettamente trasparente, e l’oggetto descritto da Dante è inconfondibile. Si tratta di una “tresfera”, la forma che nel 1917 Albert Einstein ha ipotizzato essere la forma del nostro universo, e che oggi resta compatibile con le più recenti misure cosmologiche. La sfrenata fantasia poetica e la straordinaria intelligenza di Dante Alighieri hanno anticipato di sei secoli una geniale intuizione di Albert Einstein sulla forma che il nostro universo potrebbe avere.
Che cos’è questa “tresfera”? E una struttura matematica, una figura geometrica, che non è facilissima, ma in fondo neanche difficilissima, da concepire. La difficoltà sta nel fatto che non la si può disegnare dentro lo spazio a cui siamo abituati, per lo stesso motivo per cui la superficie della Terra non può essere disegnata fedelmente su una carta geografica piana. (11)

(1)https://www.hwupgrade.it/news/scienza-tecnologia/esa-euclid-e-hera-saranno-lanciati-con-falcon-9-exomars-partira-forse-nel-2028_111204.html

(2)https://www.lifegate.it/gli_antichi_e_le_stelle_archeoastronomia

(3)https://profonorati.weebly.com/uploads/7/8/4/3/7843915/sistema_geocentrico.pdf

(4)Aristotele,Della generazione e della corruzione, II, 3, 330 a-b 

(5)Aristotele, Del cielo, I, 270 b 

(6)Aristotele, Del cielo, I 279 

(7)Aristotele, Del cielo, I 279a 

(8)La parte finale di questo saggio, tradotta dall’originale russo (“Mnimosti v geometrii”), è contenuta inGeorg Bruce Halsted, matematico americano fra i primi a introdurre le geometrie non euclidee negli Stati Uniti; Heinrich Martin Weber, matematico tedesco che fece ricerche di tipo puramente algebrico sui fondamenti dei piani di Riemann; Max Simon, matematico tedesco che si occupò prevalentemente di Storia della Matematica. saggio del 1920, censurato subito dalle autorità sovie tiche, pare sia stato il principale capo di accusa per la condanna definitiva nel 1933 di Florenskij, che viene fucilato nel 1937 nei pressi di Leningrado, dopo aver trascorso quattro anni in un gulag nelle isole Solowki
nel Mar Bianco. Per approfondimenti della sua visione dei numeri immaginari (molto diversa dalla tradiziona le rappresentazione di Argand- Gauss) .  

(9)http://ithaca.unisalento.it/nr-17bis_2021/articolo_IIp_08.pdf

(10)https://www.scienzainrete.it/articolo/l%E2%80%99universo-di-dante/marco-bersanelli/2011-10-26

  1. (11)Dante e Einstein nella tre-sfera  di Carlo Rovelli – 20/10/2010

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