oriana fallaci

QUANDO I VERSI SERVONO PER VEDERE

Scrive Oriana Fallaci: “Devo dire che scrivere è una cosa molto seria per me. Non è un divertimento o uno svago o uno sfogo. Non lo è perché non dimentico mai che le cose scritte possono fare un gran bene ma anche un gran male, guarire oppure uccidere. Studia la Storia e vedrai che dietro ogni evento di Bene o di Male c’è uno scritto. Un libro, un articolo, un manifesto, una POESIA, una preghiera, una canzone (un Inno di Mameli, una Marsigliese, uno Yankee Doodle Dandy o peggio una Bibbia, una Torah, un Corano, un Das Kapital). Così non scrivo mai alla svelta, cioè di getto. Sono uno scrittore lento, uno scrittore cauto. Sono anche uno scrittore incontentabile” (1)

In queste poche righe tratte da quel suo “La rabbia e l’orgoglio “di cui vorrei occuparmi più diffusamente in un’altra riflessione, Oriana Fallaci fissa almeno quattro punti fondamentali dello “scrivere”: lentezza, cautela, incontentabilità, responsabilità.

oriana fallaci

Sembrano degli assiomi ma in realtà esprimono il senso di un percorso che avvalendosi anche dell’ascolto e della lettura o per meglio dire alla conoscenza di ciò che è stato già scritto, (su un argomento o in generale nella poetica di un autore) delinea tendenzialmente il volto di una scrittura capace di trasformare la realtà in una immaginifica sequenza di luci e ombre, accelerazioni e frenate, insomma in un ritmo che la fa vivere in una dimensione unica. La dimensione della letteratura che ha in sé   forme di espressione diverse come la narrativa e la poesia, per limitarci solo ai due   aspetti che qui ci interessano, a due strumenti, a due forme di comunicazione.

Anzi, prosegue la Fallaci, bisogna avere quelle che lei chiama “manie”. Per cui afferma ancora:” tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla cadenza della pagina, al suono delle parole. E guai alle assonanze, alle rime, alle ripetizioni non volute. La forma mi preme quanto la sostanza. Penso che la forma sia un recipiente dentro il quale la sostanza si adagia come un vino dentro un bicchiere e gestire questa simbiosi a volte mi blocca”.

Nel leggere queste frasi mi sono domandato se queste affermazioni o forse “regole” dello scrivere che possono ritenersi del tutto personali della Fallaci, non abbiano comunque un po’ a che fare in generale   con quelli che sono i canoni della scrittura. Certo questo argomento, questo mettere assieme la forma alla sostanza perché si formi quel cortocircuito che tiene assieme le emozioni, è stato da tempo e a lungo dibattuto. Ed è forse qui inutile ripercorrere quelle discussioni che tutti conosciamo anche perché è facile, per chi vuole, rintracciarle sul web o in qualsiasi altro manuale di letteratura.

 

Il punto che voglio qui proporre è l’affermazione iniziale di questo svelamento dell’officina di uno scrittore, di un intellettuale qual è Oriana Fallaci.

 

Ovvero voglio prendere a prestito l’idea che dietro ogni evento di Bene o di Male c’è uno scritto.  Gli eventi di cui parla la Fallaci, riferiti al Bene e al Male, sono quelli della Storia, quella definita e ritenuta “maestra di vita” ma sempre più spesso con pochissimi alunni.  E voglio limitare gli “scritti” che la Fallaci mette dietro gli eventi solo alla poesia.

E prendo ad esempio proprio alcuni avvenimenti del nostro paese che hanno caratterizzato gli anni Sessanta del Novecento dietro ai quali ci sono versi “lirici e poetici”  ma anche narrazioni di alcuni autori che  diedero voce , ecco ancora un altro  esempio, alla condizione operaia negli anni  seguiti al boom economico e in quel  particolare contingente che fu l’autunno caldo.

 

Ricordo brevemente gli avvenimenti e le date per ricreare quel contesto che si animò anche grazie ad alcune opere letterarie che addirittura lo prefigurarono.

26-27 luglio 1969 Le federazioni dei lavoratori metalmeccanici Fiom-Cgil,Fim-Cisl,Uilm  decidono insieme la piattaforma  rivendicativa per il rinnovo del contratto e creano in ogni fabbrica  Comitati sindacali unitari

8-9 agosto Attentati dinamitardi su alcuni treni che provocano vittime

2 settembre Sciopero spontaneo alla Fiat. La direzione reagisce sospendendo 35 mila operai, provvedimento che rientra quasi subito anche per l’intervento del ministro del lavoro Carlo Donat-Cattin

8 settembre Si rompono subito le trattative per il rinnovo del contratto. La Confindustria respinge le richieste dei sindacati; in particolare le aziende chiedono rigidi limiti alla contrattazione integrativa aziendale.

11 settembre Sciopero nazionale dei metalmeccanici. Seguiranno agitazioni di molte altre categorie. Alla fine dell’anno si arriverà a 300 milioni di ore di sciopero.

25 settembre Prima grande manifestazione sindacale unitaria

13 ottobre Riprende il negoziato che si interrompe di nuovo il 7 novembre

14 novembre Cade la pregiudiziale della Confindustria ostile alla contrattazione aziendale articolata

19 novembre Sciopero generale indetto dai tre sindacati uni9tari per il diritto alla casa A Milano scoppiano incidenti durante i quali viene ucciso il poliziotto Antonio Annarumma

27 novembre Il ministro Donat-Cattin avanza delle proposte per chiudere ilo contratto dei metalmeccanici nelle aziende di Stato dell’Intersind. L’intesa è raggiunta il 9 dicembre

12 dicembre Strage di Piazza Fontana a Milano dove una bomba esplode nella sede della Banca dell’Agricoltura facendo 17 morti

21 dicembre Confindustria e sindacati raggiungono un accordo per il nuovo contratto dei metalmeccanici

22-23 dicembre Le assemblee di fabbrica approvano l’intesa

Ho ricordato alcuni fatti che hanno segnato in un tempo particolare la storia del nostro paese ormai indelebilmente e sui quali spesso di ritorna, perché la Storia come dice Tomaso Montanari viene continuamente riscritta (basti pensare alle numerose sentenze che tentano di definire la verità giudiziaria di quegli avvenimenti) e perché la Storia viene a volte anticipata dalla letteratura, nelle forme della narrazione  e della poesia per così dire “profetica”, mi si passi il termine. La letteratura e la poesia guardano spesso, come dicevo, anche precocemente a questi fenomeni di inquietudine che accompagnano un mutamento: per quanto riguarda l’Italia, quella che fu la transizione di un paese dalla stagione della ricostruzione e del boom economico verso una nuova stagione altrettanto problematica e diversa. La stagione della P 38, del terrorismo e della capacità della società civile, dentro quegli avvenimenti di mettere dei punti fermi, attraverso riforme e conquiste di diritti civili che rappresentano un esempio di come una comunità possa rispondere tutta assieme a minacce a volte mortali.

Ma questo che ho accennato è tutto un altro discorso da quello che ho iniziato e che lascio nei suoi termini espressamente storiografici ad approfondimenti, ulteriori riflessioni e soprattutto confronto delle opinioni.

Quello che voglio dire qui è che siamo nel 1959. Molti anni prima di questi avvenimenti che ho accennato e che caratterizzarono quel periodo di vita del nostro paese. Ebbene in quell’anno pubblicato da Bompiani appare un romanzo di Ottiero Ottieri: “Donnarumma all’assalto” che è uno spaccato su un territorio del sud Italia, Pozzuoli, ma è anche una lunga, attenta e profonda analisi di una delusione, ossia l’esclusione da una promessa di benessere e di progresso che il boom economico sembrava riservare a tutti. Una delusione che forse fu in parte   una delle spinte al cambiamento. Nel 1962, qualche anno dopo “Memoriale” di Paolo Volponi, pubblicato da Garzanti, riconferma, seppure in un’altra realtà geografica, quella del Nord Italia, l’impatto contro la realtà smascherata di quella promessa già raccontata da Ottieri.

“Donnarumma all’assalto” e “Memoriale “sono per così dire i precursori di quell’autunno caldo le cui date e avvenimenti ho appena ricordato.

Queste due opere sentono già da allora, quel cambio della soggettività che si avrà di lì a qualche anno. Soprattutto mettono in guardia sul fatto che forse occorre guardare a quei fenomeni di cambiamento non solo per il loro impatto ma anche per il loro peso economico. Quei fenomeni di cambiamento che la cronologia e gli eventi riferiti indicano come “event” la cui “scorza” è fatta di una economia come quella del due più due fa quattro e che molte volte non fece quattro. Quindi vanno guardati anche attraverso la lente di una “letteratura come storiografia”. Tema interessante questo che mi porterebbe lontano dai pochi argomenti oggetto di questa riflessione. Anche perché basterebbe leggere Emanuele Zinato che nel 2015 per Quodlibet ha pubblicato un saggio dal significativo titolo: “Letteratura come storiografia? Mappe e figure della transizione italiana” che più diffusamente affronta i temi che qui accenno.

Qui voglio semplicemente dire che una certa transizione storica viene colta, anticipata e poi riflessa da opere di narrativa e di poesia. Che stando alle affermazioni della Fallaci sono pagine, scritti che stanno dietro gli eventi, che stanno prima degli eventi.

Per esempio dunque, tutto quello che è stato scritto prima degli avvenimenti di quel 1969 definiti ormai “autunno caldo” tra cui le opere di Sereni, Pagliarini, Balestrini, Parisse, Bianciardi.

Ecco il panorama.

Alberto  Pellegrino scrive un saggio   in cui prendendo in esame l’impatto che ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa l’Autunno Caldo del 1969: dalla letteratura industriale al cinema, dalla fotografia al fumetto e alla canzone politica ,afferma per quello che riguarda la letteratura: “Il rapporto tra letteratura e mondo del lavoro nasce tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel corso della nuova rivoluzione industriale che incide profondamente sulla vita sociale e individuale dei lavoratori. La fabbrica, che oggi appare uno sbiadito fenomeno storico, acquista una forte centralità politica e diventa un argomento che investe il mondo di narratori e poeti, dando vita a un genere letterario che ha le sue origini nel romanzo di Carlo Bernari Tre operai (1934). Negli anni Sessanta questo tipo di letteratura “impegnata” vede il suo inizio con i romanzi di Ottiero Ottieri Donnarumma all’assalto (1959) e La linea gotica. Taccuino industriale (1963), con i romanzi di Paolo Volponi Memoriale (1962), La macchina mondiale (1965) e Corporale (1974), opere che presentano la fabbrica come un mondo alienante e devastato dalla nevrosi, difficile da penetrare e da comprendere per gli intellettuali come riconosce lo stesso Ottieri: “Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso …Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione…I pochi che ci lavorano dentro diventano muti, per ragioni di tempo, di opportunità…Gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta, bensì dall’assimilazione”.

Continua Pellegrino: “Lo scrittore Luciano Bianciardi, con il suo capolavoro La vita agra (1963), crea un “controcanto” al boom economico italiano e agli pseudo-valori che si diffondono nella società di massa: “Sembra che tutti ci credano, a quest’altro miracolo balordo: quelli che lo dicono già compiuto e anche gli

altri, quelli che affermano non è vero, ma lasciate fare a noi e il miracolo ve lo montiamo sul serio, noi. È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia”.  Altri autori affrontano il tema del lavoro, della emancipazione sociopolitica della classe operaia, dello scontro tra borghesia e proletariato: Vasco Pratolini con la trilogia Metello (1955), Lo scialo (1960) e Allegoria e derisione (1966); Elio Pagliarani con La ragazza Carla (1962) e Romano Bilenchi con Il Capofabbrica (1972); Lucio Mastronardi con la trilogia Il calzolaio di Vigevano (1959), Il maestro di Vigevano (1962) e Il meridionale di Vigevano (1964).”   (2)

Per quanto riguarda la poesia vanno ricordati i poeti che traggono ispirazione dal mondo del lavoro, basti pensare a Nanni Balestrini, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Giorgio Caproni, Giovanni Giudici. Un particolare valore testimoniale hanno le raccolte del poeta-operaio marchigiano Luigi Di Ruscio: Non possiamo abituarci a morire (1953), Le streghe s’arrotano le dentiere (1966), Istruzioni per l’uso della repressione (1980, Poesie Operaie (2007).

Abbiamo detto che alcune opere precorrono i tempi. Altre invece ne sono testimonianza. Per esempio, le raccolte di versi Vogliono cacciarci sotto (1975), Dobbiamo volere (1976), Il silenzio non regge (1978) di Ferruccio Brugnaro, un poeta-operaio noto. Brugnaro è stato uno dei leader del petrolchimico di Porto Marghera e delle lotte promosse da quegli operai che venivano dalle campagne e dai sobborghi e che nella fabbrica trovarono una realtà nuova alla quale tentarono di resistere  per esempio con una sindacalizzazione anche se tardiva. Tardiva perché in quel territorio, già a partire dagli anni del regime fascista, proseguita poi negli anni Cinquanta, c’era stata una resistenza e una lotta per la conquista di diritti che al termine dell’autunno caldo portò alla redazione dello Statuto dei lavoratori (1970), voluto dal ministro del lavoro il socialista Giacomo Brodolini e redatto dal giuslavorista Gino Giugni. Una legge assolutamente innovativa in Europa che fissava i diritti civili, economici e politici dei lavoratori e che oggi è stata purtroppo annullata dal neoliberismo imperante.

Parlo delle lotte alla Breda, nel Porto, nelle fabbriche metal meccaniche. Dei versi di Brugnaro, quelli che lui distribuiva ciclostilati durante i volantinaggi davanti ai cancelli delle fabbriche rimangono oggi delle raccolte.

Essi testimoniano   quello che  Andrea Zanzotto ha scritto nella prefazione della raccolta 1963-1975 pubblicata da Giorgio Bertani  “ Al di sotto di quel suo dire  che si vuole azione, nasce il dire che è atto poetico, invenzione di forma”. Quel suo dire dunque da cui traspare , a detta della critica :” la sofferenza della nuova classe operaia segnata dalla fatica, dall’alienazione e dalla solitudine, ma anche animata da un nuovo umanesimo fondato sulla fraternità e sull’amore, sulla contrapposizione tra il mondo dell’officina e la bellezza della natura: “Nelle tane dei reparti, tra le macchine/ci urla la vita dentro/con ferocia…È entrata/in reparto/una rondine…Come ognuno di noi, proprio come/ognuno di noi/ora cerca di riprendersi/i giorni”. (3)

È entrata una rondine dice Brugnaro. È entrata in reparto. È il segno, il simbolo di una nuova stagione. Come quella che racconta il poema “Sirena operaia”. Un racconto in versi di Alberto Bellocchio (2000), che parla di picchetti e lotte e che lo stesso Bellocchio ha portato in scena.

Gianluigi Simonetti connette l’esperienza di fabbrica di Brugnaro alla guerra, al recupero del mito resistenziale “di una lirica capace di cambiare il mondo, insieme a quello più recente ma altrettanto fondatore, di una nuova centralità operaia, capace di ridare linfa alla poesia  facendosi forte della  propria stessa abitudine all’esclusione “ (4)

Tra gli scritti  che appartengono  al panorama che abbiamo sopra richiamato mutuandolo da un saggio di Alberto Pellegrino non possiamo dimenticare le opere  da Nanni Balestrini (Vogliamo tutto, 1971) a Chiara Ingrao (Dita di dama, 2009) e Gaetano Sateriale (Tutti i colori dello zucchero, 2014), diversi scrittori italiani hanno raccontato nei loro romanzi l’ondata di manifestazioni e lotte sindacali che, sulla spinta delle rivolte studentesche dell’anno precedente, hanno caratterizzato l’autunno caldo del 1969 e, in buona parte, il decennio successivo. Numerose sono inoltre le commedie che Dario Fo e Franca Rame hanno dedicato all’argomento: l’ultima, rappresentata nel 2008, è Sotto paga, non si paga!,  rifacimento in chiave contemporanea di Non si paga, non si paga ! del 1974.

L’autunno sindacale detto da altri il “secondo biennio rosso” fu una lunga stagione di lotte.

Pose in discussione non solo gli assetti salariali e normativi, ma anche la stessa capacità di rappresentanza del mondo del lavoro da parte delle organizzazioni sindacali. Sotto   la   spinta   della   base, i   sindacati   dei   metalmeccanici recuperarono la guida del movimento, firmando un nuovo  contratto   che  sancì  la  fissazione dell’orario di  lavoro a 40 ore settimanali,  con una riduzione di 45 ore  un  risultato  senza  precedenti  in  Italia  e  in  Europa,  che  ribaltò  comportamenti  convenzionali,  come  quello  di  barattare  la  riduzione  degli  orari  di  lavoro  con  aumenti salariali. (5)

Ma torno al tema. E ci torno richiamando alla mente un’opera di Montale “La bufera” pubblicata prima da Neri Pozza e poi in versione definitiva da Mondadori perché questo opera è lo “scritto” che sta dietro ad avvenimenti storici e in particolare alla Seconda guerra mondiale come “travalica mento” della vicenda personale su un piano non solo storico ma anche universale con un valore assoluto, capace di rappresentare l’intera esistenza collettiva. “La bufera” attraverso la riconfigurazione dell’esperienza sotto forma di “canzoniere”, come Montale stesso lo chiama, è nelle singole composizioni proprio lo scritto che includendo la realtà storica la anticipa, la spiega, la ricorda. Eventi, date, luoghi situazioni sono tradotti dalle parole dei versi. I riferimenti storici concreti comprendono dunque, non solo come sfondo ma anche come argomento specifico delle composizioni, il conflitto mondiale, la memoria del genocidio degli ebrei, la guerra fredda, il gulag fino alla perdita dei valori e alla omologazione della cosiddetta società di massa. Certo si aggiungono anche i motivi della biografia personale del poeta come gli innamoramenti personificati dai diversi “tu” (Clizia e Volpe), i viaggi e la memoria degli antenati (come la poesia alla madre) ma quello che conta di più è proprio questo guardare alla Storia riscrivendone non i contorni ma la sostanza anche se  con altri strumenti  per esempio con lo sguardo delle regole   della parola che universalizza le regole dei fatti .

“La bufera” che, come diceva Montale, completa una specie di trittico, composto da Ossi di seppia e Le occasioni, i cui versi andrebbero letti con quelli delle altre due raccolte come “una poesia sola”, sta saldamente piantata nel passato ma porta con sé la percezione del nuovo.

Ecco il punto. “L’attesa è lunga/ il mio sogno di te non è finito” è la nota di speranza montaliana. Ma la bufera sarà presto fuori dal tempo, perché i suoi vertici poetici non saranno mai più raggiunti. Grandissima e irraggiungibile la poesia di “La bufera”. Già nelle ultime composizioni vi è qualcosa di diverso che Montale avverte perché quei versi si “trovano già da un’altra parte”.

E quando i versi stanno già da un’altra parte allora sono versi fatti “per vedere” – Come i versi di Roger Robinson ( 6 ) che ha vinto  nel 2019  il premio “T.S. Eliot” usando lo stile orale del “ dub” (tradizione orale di Giamaica e Trinidad) per cantare il “paradiso portatile” di chi lavora ,di chi spera. Di chi non ce la fa. Versi che spaziano   dall’incendio della torre di Grenfell, (7) all’immigrazione del dopoguerra, dalle tensioni della Brexit,  alla bellezza e alle difficoltà della vita quotidiana. Un altro esempio e qui per il momento concludo, di come la storia e la vita quotidiana possano essere visti attraverso i versi in modo diverso da come sono in realtà e che dunque la realtà possa essere anche il risultato di scritti, di pagine, di versi, di narrazioni  che non solo la ricostruiscono ma spesso l’anticipano nel bene e nel male.

( 1 ) O.Fallaci La rabbia e l’orgoglio ,Rizzoli ,2021 (Mondadori Media Spa) pag. 15

( 2 ) https://www.musiculturaonline.it/lautunno-caldo-del-69-nei-mass-media/

(3) Gianfranco Bettin La rondine in fabbrica. Poesia come rivolta La lettura 4 settembre 2019

(4)  La letteratura circostante Il Mulino, 2018

(5 ) https://archiviodocumenti.cgiltoscana.it/files/tesi_delvecchio2.pdf

(6  ) Roger Robinson è uno scrittore, musicista e performer britannico che vive tra Inghilterra e Trinidad. Il suo libro A Portable Paradise ha vinto il prestigioso premio T. S. Eliot 2019, annunciato a Londra nel gennaio 2020.

E se parlo di Paradiso,
allora parlo di mia nonna
che mi diceva di portarmelo sempre
addosso, di nascosto, così che
nessun altro lo sapesse tranne me.
In questo modo non possono rubarlo, diceva.
E se la vita ti mette sotto pressione,
traccia le sue creste in tasca,
annusa il suo profumo di pino sul fazzoletto,
canticchia il suo inno sottovoce.
E se il tuo stress è sostenuto e quotidiano,
portati in una stanza vuota – che sia hotel,
ostello o tugurio – trova una lampada
e svuota il tuo paradiso su una scrivania: le
tue sabbie bianche, le verdi colline e il pesce fresco.
Fai brillare la lampada su di essa come la fresca speranza
del mattino, e continua a fissarla finché non ti addormenti.

Da A Portable Paradise di Roger Robinson (Peepal Tree, £ 9,99), selezionato per il premio TS Eliot.

(7 )  L’incendio della Grenfell Tower è un evento catastrofico avvenuto a Londra nella notte del 14 giugno 2017 nel grattacielo di 24 piani Grenfell Tower, situato nel quartiere di North Kensington, nel quale morirono 72 persone.  L’incendio è divampato poco prima dell’1:00 . 250 vigili del fuoco e 45 autopompe sono stati impiegati nelle operazioni di spegnimento e di soccorso, rese estremamente complesse dalla violenza dell’incendio e per il timore di cedimento strutturale dell’edificio [1], sono andate avanti sino al 16 giugno quando il capo delle operazioni di spegnimento Dany Cotton ha dichiarato che non c’erano più speranze di trovare superstiti

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