«VENNE TRA I SUOI E I SUOI NON L’HANNO ACCOLTO»  (Seconda parte )

«VENNE TRA I SUOI E I SUOI NON L’HANNO ACCOLTO»  (Seconda parte )

 

In questa rubrica ho intrapreso un percorso che  mette assieme  le tappe degli  incontri  da parte di  letterati , storici, religiosi, filosofi  con la Natività.  Per il Natale del 2021  ho ricordato  le poesia di Saba , di Rimbaud  e più estesamente il Natale di Alessandro Manzoni.  Per quello del 2022 voglio ricordare alcuni  altri autori  dividendo l’esposizione in alcune parti per comodità di lettura. Prima di iniziare la trascrizione dei testi poetici con i relativi commenti, cominciando da Sant’Ambrogio, San Bernardo e Jacopone da Todi  voglio però parlare  di un’opera teatrale. Ovvero di “Natale in casa Cupiello “scritta da Eduardo De Filippo nel 1931. È una delle commedie più conosciute del drammaturgo napoletano ed è considerata uno dei suoi lavori più brillanti. La racconto perché  per me rappresenta  l’atmosfera del Natale nella vita quotidiana intrisa di una sua “ poesia” ma anche di  tutto quello che “ appartiene” proprio alla vita : gioia e dolori .

 

Portata in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli (oggi Cinema Filangieri), il 25 dicembre 1931, Natale in casa Cupiello segna di fatto l’avvio vero e proprio della felice esperienza della Compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo”, composta dai tre fratelli e da attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano). A giugno Eduardo aveva firmato un contratto con l’impresario teatrale che lo impegnava per soli nove giorni di recite per presentare il suo nuovo atto unico subito dopo la proiezione di un film. Il successo della commedia fu tale che la durata del contratto fu prolungata sino al 21 maggio 1932.( 1) La scena si svolge nell’arco di circa cinque giorni nella casa della famiglia Cupiello, della quale vengono rappresentate la camera da letto (atti I e III) e la sala da pranzo (atto II).

(1) da wilkipedia

«Spara ’sti botte,

alluma ’sti bengale,

arust’ e capitune,

ch’è Natale!

Ncoll’ e pasture!…»

È il 1931, racconta Ciro Pellegrino su  fanpage (2)  e Eduardo De Filippo scrive una poesia, «’A vita». Nasce tutto così. Anche se non c’è un collegamento diretto, nei pochi versi si intravede il carattere di Lucariello, il protagonista di “Natale in casa Cupiello”, così come in un’altra poesia, «Tre piccirille» si potevano vedere i tre figli di Filumena Marturano. Il capolavoro di Eduardo fu definito dallo stesso autore «un parto trigemino, con una gravidanza di quattro anni».

(2)   https://www.fanpage.it/napoli/natale-in-casa-cupiello-eduardo-de-filippo-storia/

Come ogni Natale, Luca Cupiello prepara il suo presepe, nonostante il disinteresse della moglie Concetta e del figlio Tommasino, “Nennillo”, come lo chiama la madre, un giovane apatico che passa gran parte della giornata a dormire e a litigare con lo zio Pasqualino, che lo accusa  – a ragion veduta – di ripetuti furti ai suoi danni. L’atmosfera natalizia è resa ancor più pesante dalla crisi matrimoniale di Ninuccia, altra figlia della coppia, che ha deciso di lasciare il marito Nicolino, agiato commerciante per stare con Vittorio, il suo amante che, amico di Tommaso, rimedia un invito per il pranzo della Vigilia. E proprio durante il pranzo i due rivali si incontrano e si scontrano, rovinando la festa al povero Luca.La chiusura, il terzo atto, è come detto quello in cui Luca delira invocando in continuazione il genero per farlo riappacificare con la figlia. E invece arriva don Vittorio per domandare perdono al morente. Lucariello lo scambia per Nicolino, gli prende la mano e la unisce a quella di Ninuccia proprio quando sta per arrivare il vero Nicola. Chiede un’ultima volta al figlio: «Tommasì, te piace ’o presebbio?» E lui, col groppo in gola, stavolta dice «Sì…».

Ma torniamo al nostro percorso e non possiamo non cominciare con un’opera di Sant’Ambrogio .

SANT’AMBROGIO

(Treviri 339/340 – Milano 397)

«Nella notte della Natività»

Volgiti a noi, tu che guidi Israele

assiso sui Cherubini,

mostrati in faccia a Efraim, ridesta

la tua potenza e vieni.

O Redentore delle genti, vieni,

rivela al mondo il parto della Vergine;

ogni età della storia stupisca:

è questo un parto che si addice a Dio.

Non da seme virile

ma per l’azione arcana dello Spirito

il Verbo di Dio si è fatto carne,

fiorito a noi come frutto di un grembo.

Il verginale corpo s’inturgida

senza che il puro chiostro si disserri,

brillano le virtù come vessilli:

Dio nel suo tempio ha fissato dimora.

Esca da questo talamo nuziale,

aula regia di santo pudore,

il Forte che sussiste in due nature

e sollecito compia il suo cammino.

A noi viene dal Padre

e al Padre fa ritorno,

si slancia fino agli inferi

e riguadagna la sede di Dio.

Consostanziale e coeterno al Padre,

dell’umiltà della carne rivèstiti:

con il tuo indefettibile vigore

rinsalda in noi la corporea fiacchezza.

Già il tuo presepe rifulge

e la notte spira una luce nuova;

nessuna tenebra più la contamini

e la rischiari perenne la fede.

 

A Sant’Ambrogio si deve si deve l’introduzione della festa del Natale a Milano, quando ne divenne vescovo. Ricorda  Cristina Siccardi (3)  : “ Il primo documento che registra la celebrazione della festa del Santo Natale il 25 dicembre del 336 è il Cronografo del 354 (Chronographus anni 354), primo Calendario della Chiesa di Roma. Si tratta di un Calendario illustrato, accompagnato da testi, realizzato dal calligrafo Furio Dionisio Filocalo.  Il codice venne offerto ad un aristocratico romano di fede cristiana di nome Valentino. Sant’Ambrogio (339/340 – 397) visse i suoi anni giovanili a Roma e fu qui che conobbe la festa del Santo Natale, quando sua sorella Marcellina fece professione religiosa nel Natale dell’anno 352 o 354 nella basilica di San Pietro e la cerimonia venne presieduta da Papa Liberio. Sant’Ambrogio ricorderà alla sorella le parole del Pontefice pronunciate quel 25 dicembre: «Quando, il giorno di Natale nella basilica dell’apostolo Pietro, tu sigillavi la professione della verginità anche con il mutamento dell’abito – e per la professione della vergine quale giorno più adatto di questo, in qui un figlio fu dato alla Vergine? – alla presenza di molte fanciulle di Dio che andavano a gara per divenire tue compagne, Liberio disse: Nobili nozze hai desiderato per te, o figliola! Guarda quanta folla è qui venuta per celebrare il Natale del tuo sposo; …oggi (il tuo sposo) è nato dalla Vergine come uomo, ma è stato generato dal Padre prima di ogni cosa: simile alla Madre nel corpo, al Padre nella potenza. Unigenito in terra, unigenito in cielo: Dio da Dio, partorito dalla Vergine; giustizia del Padre, onnipotenza dell’Onnipotente, luce da luce, non inferiore a colui che l’ha generato…» (Le vergini, libro III, n. 1-4).”

(  3 ) https://www.corrispondenzaromana.it/il-natale-di-santambrogio/

 

«Muro» o «colonna della Chiesa», «torre di Davide contro Damasco», secondo le immagini dei primi biografi Rufino e Paolino di Milano, questo Vescovo che, ispirato dal timore di Dio, non ha mai avuto paura di dire la verità ai potenti, si presenta anche come Pastore esemplare, guida straordinaria ed evangelizzatore instancabile. Mistico e uomo d’azione, Sant’Ambrogio è stato anche un grande poeta i cui Inni, con ammirevole concisione, formano un compendio della vita cristiana. Egli ha scritto alcune fra le più belle pagine della lingua latina, ove si intrecciano il lirismo ardente e il vigore dialettico. Rémy de Gourmont, nel suo Latin mystique, ha reso giustizia al genio poetico del primo Vescovo di Milano: «[…] le odi di sant’Ambrogio sono rimaste i fiori più squisiti del simbolico giardino della liturgia».

Davvero interessante che Sant’Ambrogio si sia “servito” proprio del Natale per arginare l’eresia ariana. Di ciò abbiamo testimonianza nel commento che il Vescovo fece del Vangelo di San Luca: «S. Luca narra succintamente il modo, il tempo, il luogo della nascita di Cristo secondo la carne; se cerchi invece la sua generazione celeste, leggi il vangelo di S. Giovanni, che comincia dal cielo per scendere sulla terra. Lì troverai quando era, come era, che cosa aveva fatto, che cosa faceva, dov’era, dove è venuto, come e quando e per qual fine è venuto… Conosciamo la duplice generazione, e ciò che com­pete all’una e all’altra; conosciamo pure il motivo della sua venuta: prendere su di sé i peccati di que­sto mondo avviato alla rovina per distruggere in se stesso, lui che è invincibile, la sventura del peccato e della morte».

E dopo aver descritto con le parole di Luca la nascita di Cristo, così prosegue: «Ti sembrano forse trascurabili i segni con i quali Dio si rivela: gli angeli che lo servono, i Magi che lo adorano, i martiri che gli rendono testimo­nianza? Esce da un seno materno, ma rifulge nel cielo; giace in una terrena dimora, ma regna nella luce celeste. Lo partorisce una sposa, ma lo concepi­sce una vergine!»

(Commento al Vangelo di Luca, 2, 40-43).

il Medioevo ci ha lasciato  due testi importantissimi  “ Signore Gesù tu sei nato per noi “ di San Bernardo di Chiaravalle e «Cantico della Natività di Gesù Cristo», ( LXV parte trascritta ) di Jacopone da Todi

 

 

SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE

( Fontaine-lès-Dijon 1090 – Ville-sous-la-Ferté 1153)

«Signore Gesù, Tu sei nato per noi»

Signore Gesù, Tu sei nato per noi,

ti sei fatto bambino per noi,

sei venuto per noi.

La tua venuta è per noi necessaria,

o Salvatore nostro:

è necessaria la tua presenza.

Vieni nella tua immensa bontà,

abita in noi per la fede

e illumina la nostra cecità!

Rimani con noi

e difendi la nostra fragilità!

Se Tu sei con noi,

chi ci potrà ingannare?

Se Tu sei con noi,

che cosa non potremo in Te,

che ci dai forza?

Se Tu sei per noi, chi sarà contro di noi?

Tu sei venuto al mondo, Gesù,

per abitare in noi,

con noi e per noi,

per schierarti dalla nostra parte,

per essere il nostro Salvatore.

Grazie, Signore Gesù!

 

A ventidue anni si fa monaco, tirando con sé una trentina di parenti. Il monastero è quello fondato da Roberto di Molesmes a Cîteaux (Cistercium in latino, da cui cistercensi). A 25 anni lo mandano a fondarne un altro a Clairvaux, campagna disabitata, che diventa la Clara Vallis sua e dei monaci. È riservato, quasi timido. Ma c’è il carattere. Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse, ma tanti ecclesiastici gli vanno di traverso. È severo anche coi monaci di Cluny, secondo lui troppo levigati, con chiese troppo adorne, “mentre il povero ha fame”.Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Scaglia sull’Europa incolta i suoi miti dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono all’ordine la terra e l’acqua, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea (4)

(4)http://www.santiebeati.it/dettaglio/24050

 

Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse Invia per l’Europa incolta i suoi miti monaci dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono ordine tra terre abbondante e acqua non domate, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, è chiamato spesso a missioni di vertice, come quando percorre tutta l’Europa per farvi riconoscere il papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto II). E lo scisma finisce, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà. .

 

Eugenio III lo chiama poi a predicare la crociata (la seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme. Ma l’impresa fallirà davanti a Damasco.

 

Ma è lo stesso Bernardo nei suoi sermoni che annuncia questa nascita e commenta i suoi versi -”E’ risuonata nella nostra terra una voce di gioia, una voce di esultanza e di salvezza nelle tende
dei peccatori. È stata udita una parola buona una parola di consolazione, una parola piena di allegrezza, del tutto degna di essere accolta. Gridate di gioia o monti e tutti voi alberi delle foreste acclamate davanti al volto del Signore, perché viene. Udite cieli e ascolta o terra1 si stupisca e lodi ogni creatura ma soprattutto tu, Uomo: Gesù Cristo figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. Chi ha il cuore così di pietra che la sua anima non si sciolga a questa parola? Cosa poteva essere annunziato di più dolce? Che cosa poteva esserci affidato di più piacevole? Si è mai udita una cosa come questa, o qualche volta il mondo ha ricevuto qualcosa di simile? Gesù Cristo, figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. O piccola parola, sulla Parola fatta piccola, (O breve verbum de Verbo abbreviato) ma colma di dolcezza celeste! L’affetto cerca di effondere più largamente l’abbondanza di una dolcezza simile a quella del miele, ma non trova le parole. Così grande davvero è la grazia di questo annuncio, che comincia subito a diminuire il suo gusto
se cambio anche un solo iota. Gesù Cristo. Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. O nascita pura per santità, degna di essere onorata dal mondo, degna di essere amata dagli uomini per la grandezza del beneficio che porti loro; impenetrabile anche per gli angeli per la profondità del sacro mistero, e in tutto questo mirabile per la singolare eccellenza della novità, perché non se ne vide prima una simile, né ne viene una dopo (Ant.Genuit puerpera…)! O unico parto senza dolore! che unico non ha motivo di pudore, ignaro di corruzione, che non dischiude, ma consacra il tempio del grembo verginale. O banascita superiore alla natura, ma avvenuta per la natura; superiore alla natura per l’eccezionalità del miracolo e sorgente di novità per la potenza del mistero! (5)

(5) https://digilander.libero.it/undicesimaora/ARCH_BIBLIO/Vigilia%20di%20Natale%201-6.pdf

 

JACOPONE DA TODI

(Todi 1233 – Collazzone 1306)

«Cantico della Natività di Gesù Cristo», LXV

Omo chi vòl parlare,

emprima dé’ pensare

se quello che vòl dire

è utele a odire;

ché la longa materia

sòl generar fastidia,

el longo abriviare

sòle l’om delettare.

Abrevio mea ditta,

longezza en breve scripta;

chi cce vorrà pensare,

ben ce porrà notare.

Comenzo el meo dittato

de l’omo ch’è ordenato,

là ‘ve Deo

se reposa,

êll’alma ch’è sua sposa.

La mente sì è ‘l letto

co l’ordenato affetto;

el letto à quatro pedi,

como en figura el vidi.

Lo primo pè, prudenza,

lume d’entelligenza;

demustra el male e ‘l bene,

e co’ tener se déne.

L’altro pè, iustizia,

l’affetto en essercizia

(prudenza à demustrato,

iustizia à adoperato).

Lo terzo pè, fortezza:

portare onne gravezza,

per nulla aversetate

lassar la veretate.

Lo quarto è temperanza:

freno enn abundanza

et en prospere tate

profunda umeletate.

La lettèra

enfunata

de fede articulata,

l’articul’ l’à legati,

co li pè concatenati.

De paglia c’è un saccone,

la me’ cognizione,

co’ so’ de vile nato

e pleno de peccato.

De sopr’è ‘l matarazzo,

Cristo pro me pazzo

(o’ sse misse a venire

per me potere av‹i›re!).

Ècce uno capezzale,

Cristo ch’en croce sale;

mòrece tormentato,

con latrun’ acompagnato.

Stese ce so’ lenzola,

lo contemplar che vola:

specchio i devinitate,

vestito i umanetate.

Coperto è de speranza

a ddarme ferma certanza

de farme cittadino

en quell’abbergo devino.

La caritate ‘l iogne

e con Deo me coniogne;

iogne la vilitate

cun la divina bontate.

Ecco nasce un amore,

c’à emprenato el core,

pleno de disiderio,

d’enfocato misterio.

Preno enliquedisce,

languenno parturesce;

e parturesce un ratto,

nel terzo cel è tratto.

Celo umanato passa,

l’angelico trapassa

et entra êlla caligine

co ‘l Figliol de la Vergene.

Et è en Deo Un-Trino,

loco i sse mett’el freno

d’entelletto pusato,

l’affetto adormentato;

e dorme senza sonnia,

ch’è ‘n vere

tate d’onnia,

c’à repusato el core

ne lo divino amore.

Vale, vale, vale!

Ascenne per este scale,

cà po’ cedere en basso,

farì’ granne fracasso

 

Insieme a san Francesco d’Assisi, Iacopone da Todi fu uno dei primi autori della letteratura italiana, probabilmente il maggiore del Duecento nell’ambito della poesia religiosa.  La più conosciuta tra le laude drammatiche è Donna de Paradiso che vede come protagonisti la Madonna, san Giovanni Evangelista, il messaggero e il popolo. Nelle trentatré strofe (che simbolicamente richiamano gli anni di Cristo) sono ripercorsi i momenti salienti della passione. L’umanità di Gesù rifulge, qui, ancor più nella sofferenza della madre che assiste con indicibile dolore al suo calvario e che con strazio esclama: «Figlio, l’alma t’è ’scita,/ figlio de la smarrita,/ figlio de la sparita,/ figlio attossecato!// Figlio bianco e vermiglio,/ figlio senza simiglio,/ figlio, e a cui m’apiglio?/ Figlio, pur m’ài lassato!/ […] Figlio dolc’e e placente,/ figlio de la dolente,/ figlio, àte la gente/ mala mente trattato.// Ioanni, figlio novello,/ morto s’è ‘l tuo fratello./ Ora sento ‘l coltello/ che fo profitizzato.// Che moga figlio e mate/ d’una morte afferrate,/ trovarse abraccecate/ mat’e e figlio impiccato».

Un’altra  lauda di Iacopone da Todi è “Amor de caritate”. Ivi l’autore scrive: «En Cristo nata nova creatura,/ spogliato lo vecchio om, fatto novello!/ Ma en tanto l’amor monta con ardura,/ lo cor par che sse fenda con coltello;/ mente con senno tolle tal calura,/ Cristo si me trae tutto, tanto è bello!».

Attribuita a Iacopone è anche la famosa sequenza in latino Stabat Mater musicata nei secoli, tra gli altri, da Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Dvorák.

 

Nel Duecento, per impulso determinante degli ordini mendicanti, si diffonde un nuovo genere di poesia religiosa in volgare, la lauda. Essa veicola anche presso un pubblico di laici illitterati, cioè ignari del latino, i fondamenti biblici e teologici della fede cristiana. Le laude vengono normalmente raccolte nei laudari, ad uso delle confraternite di Laudesi e Disciplinati. Il principale autore di laude del Duecento è il francescano Iacopone da Todi, che inserisce nei suoi testi molti elementi autobiografici; tra i laudografi del Trecento emerge invece il Bianco da Siena. (6)

(6) https://www.treccani.it/enciclopedia/iacopone-da-todi-e-la-poesia-religiosa_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/

Iacopone era un ricco notaio. La morte della moglie lo sconvolge al punto che rinuncia ai suoi beni e prende i voti e dieci anni dopo, nel 1278, entra a far parte dei frati spirituali dell’ordine francescano Nel 1294 viene eletto papa Bonifacio VIII che adotta la linea dura contro i frati minoriti. Jacopone, insieme agli altri frati, aderisce al Manifesto di Lunghezza (1297) steso dai cardinali Pietro e Iacopo Colonna che dichiara illegittima l’elezione del papa Caetani, questi risponde scomunicando i frati e i Colonna. Coinvolto nell’assedio di Palestrina che termina nel 1298 con la sconfitta della fazione antipapale: preso prigioniero, rimane in carcere fino al 1303 quando viene liberato da Benedetto XI, successore di  Bonifacio VIII.. Jacopone muore nel 1306 vicino Todi. La chiesa cattolica lo venera come beato.

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