LA PAROLA CHE RESISTE

LA PAROLA CHE RESISTE

Ho parlato su queste pagine di come la poesia e la narrativa possano essere profetiche  e capaci di anticipare  il racconto di fenomeni ed eventi che  determinano svolte storiche intese come cambiamenti epocali nella storia del nostro paese e in quella di altri. Poesia e letteratura che allo stesso modo  oltre ad essere profetiche  diventano poi memoria, monumento per ricordare.  Ho preso  ad esempio per la funzione profetica  la letteratura degli anni Cinquanta  e Sessanta  fino a quell’autunno caldo  o terzo biennio rosso,  come si vuole chiamarlo, che portarono  alla stesura dello Statuto dei lavoratori e nel decennio successivo,  malgrado  le morti causate dallo stragismo e dal terrorismo0 rosso e nero, a conquiste civili come il divorzio, l’obiezione di coscienza, i diritti delle donne, la legge sull’aborto. L’approvazione della legge sul divorzio del 1970 apre la strada verso la riforma del diritto di famiglia che, nel 1975, sancisce una pari responsabilità tra i coniugi e dà maggior equilibrio a diritti e doveri tra genitori e figli. Un cambiamento fondamentale che era in discussione da anni. La parità in materia di lavoro e le leggi di tutela per le lavoratrici madri arrivano nel 1977. Nel frattempo, temi personali come il potere sul proprio corpo e la scelta della maternità, s’impongono nel dibattito pubblico. “Il personale è politico”  diventa lo slogan delle femministe. Si manifesta in piazza per la depenalizzazione dell’aborto, che viene regolamentato con la legge 194 del 1978. Dunque affermazione di grandi valori e di radicale cambiamento della cultura e del costume nel Nostro Paese nel quale vi è stata una perfetta sintonia tra cultura giuridica e movimenti di massa: infatti si definiscono anni di grandi conquiste epocali sul piano normativo portatrici di libertà: la Legge 20/5/70 n. 300 lo Statuto dei Lavoratori; la Legge 1/12/70 n. 898 sul Divorzio ed ancora la Legge 19/5/75 n. 151 sul Diritto di Famiglia.

Un processo lungo nel tempo. A cominciare dagli anni Sessanta. In quegli anni la trasformazione  fu caratterizzata dal repentino spostamento dalle campagne  che avevano svolto il ruolo di baricentro ed avevano dato vita ad una civiltà, quella contadina che per secoli aveva  rappresentato  il fulcro  strutturale del paese, verso le città. E in particolare dal sud al nord Italia . Tra il 1955 e il 1970 un terzo della popolazione aveva cambiato residenza. L’attrazione della città e  la possibilità di svolgere un lavoro spesso in fabbrica avevano  determinato e creato nuove soggettività: le donne, gli operai, i giovani .

Tra gli anni Sessanta e Settanta,  le  riforme che abbiamo ricordate che suonarono come conquiste di diritti civili  dettero vita e  sancirono sul piano normativo trasformazioni sociali e culturali di rilievo .

Allo stesso tempo in politica andava esaurendosi   la prospettiva riformista del “centro-sinistra”. L’ alleanza tra  Democrazia cristiana, Partito repubblicano e i due Partiti socialisti con la formazione di vari governi, fino addirittura al  quarto governo Fanfani (tra il febbraio 1962 e il maggio 1963)  divenne  incapace di controllare fenomeni economici e sociali. Soprattutto non riuscì a capire  le istanze dei giovani  o comunque non ebbe la capacità di entrare  in contatto con questo modo in modo  propositivo e risolutivo dei problemi che quelle generazioni avanzavano. Frutto della loro ricerca e delle loro necessità  materiali e ideali.

La strategia della tensione  causò sofferenze, perdite umane  ma riuscì  a dare vita ad una trasformazione che fu feconda stagione di riforme e di conquista di diritti civili.  Mentre il terrorismo insanguinava le città e le vestiva a lutto per la morte dei suoi uomini più rappresentativi, mentre le brigate rosse  per la prima volta dopo il ventennio fascista, prendevano di mira il sindacato dei lavoratori e le Camere del lavoro, colpevoli di non voler aderire alla loro lotta, mentre lo stragismo  mafioso organizzava attentati dinamitardi , mentre gli attentati a treni , stazioni e banche  sembravano seppellire la democrazia proprio allora gli italiani seppero ricostruire un tessuto di  conquiste democratiche durate fino ad ieri.

In questo contesto ho articolato l’esame di alcune opere  di narrativa e di poesia che di questi eventi ed avvenimenti hanno sentito l’inquietudine e che in molti casi sono riuscite ad anticiparli profeticamente e in altri ne sono stati testimoni.

Alla fine degli  anni Sessanta e Settata del Novecento in Italia   la società civile sottoposta  a gravi menomazioni ,è riuscita  pur fragilmente  e con scarsa autonomia a riprendere vigore. Ancora smarrita davanti alla duplice subordinazione allo Stato e al sistema dei partiti cui l’aveva costretta il progetto autoritario e corporativo della dittatura fascista, aveva trovato la forza di costruire  una  cittadinanza repubblicana. Aveva  tentato di superare quella esperienza storica in una prospettiva di riconoscimento pieno ed universalistico delle libertà civili e dei diritti sociali.

La letteratura e la poesia l’avevano aiutata in questo percorso. Ma anche la musica.

Ho fatto questo lungo richiamo alla  storia del nostro paese per dire che  anche la musica ha aiutato la costruzione di una identità italiana in quegli anni, quella per esempio dei giovani attraverso l’apporto dei cantautori .

Scrive Gioachino Lanotte su Novecento.org Didattica della storia : “A cavallo tra anni ’60 e ’70 prende avvio una stagione irripetibile per la scena musicale e culturale italiana. La generazione del baby boom dimostra di avere scelto la musica come linguaggio universale. Forte di un decollo che dai tempi del miracolo economico non si è ancora arrestato, l’industria discografica dei primi anni ’70 intercetta e propone ai consumi giovanili le diverse tendenze musicali che compongono quel paesaggio sonoro: cantautori, rock progressivo, canto politico, pop melodico, canzone tradizionale, disco-music, fino all’affacciarsi del reggae e del punk, sul finire del decennio. Ma la formula che meglio di ogni altra si lega ad un stagione definita dell’impegno, e non solo in Italia (engagement in Francia, commitment nel Regno Unito, cançao d’intervençao nel Portogallo di Salazar, ecc.), è sicuramente quella del cantautore  “impegnato”. I nuovi protagonisti della canzone d’autore (Guccini, De Gregori, De Andrè, Bennato, Finardi, Lolli, Dalla, Venditti, per citarne solo alcuni) sono una sorta di “versione 2.0” della prima generazione di cantautori, la cosiddetta scuola genovese. Rispetto ai vari Paoli, Tenco, Bindi e Lauzi, però, essi presentano specificità che scaturiscono direttamente dallo spirito di quegli anni e sono proprio queste peculiarità a fare di quel repertorio una specie di colonna sonora degli anni ’70. Al punto che oggi molti ragazzi rileggono quel periodo anche attraverso le loro canzoni.”

 

Mikis Theodorakis

Ma il richiamo storico agli avvenimenti italiani mi permettono,  parlando dell’apporto non solo della poesie  e della letteratura  ma anche della musica, di guardare al di là del Mediterraneo  gli avvenimenti che caratterizzarono  la storia della Grecia in quegli anni,  sottoposta ad una  ferrea dittatura  e all’apporto che ebbe a dare alla resistenza  a quella dittatura  un musicista recentemente scomparso Mikis Theodorakis.

 

 

Il governo  della Giunta, usato per indicare un regime di dittatura militare di ispirazione fascista ,fu instaurato il 21 aprile 1967 ed ebbe termine il 24 luglio 1974. In quel periodo la Grecia venne governata da  militari  dichiaratisi anticomunisti saliti al potere con un colpo di Stato guidato dai colonnelli Geōrgios Papadopoulos, Nikolaos Makarezos e Ioannis Ladas. Leader della giunta furono Geōrgios Papadopoulos e, dal 25 novembre 1973, Dīmītrios Iōannidīs. Il colpo di Stato soppresse il governo, eletto democraticamente, di sinistra e centro democratico. Il regime effettuò in continuazione arresti e deportazioni degli oppositori, abolì le libertà politiche e civili, sciolse i partiti e costrinse all’esilio la famiglia reale.

Dichiarati  decadute le libertà garantite dalla Costituzione  come la libertà di espressione personale  furono sciolti tutti i partiti politici. Migliaia di  uomini politici,  militanti, attivisti e intellettuali di sinistra furono arrestati e centinaia furono torturati nelle carceri speciali della polizia militare. Nazionalismo, anticomunismo  e lotta ad una  pretesa cospirazione comunista da parte delle forze di sinistra animavano l’ideologia dei golpisti .

Tra gli intellettuali arrestati ci fu anche il compositore Mikis Theodorakis, autore di famose colonne sonore come quella del film Zorba il Greco e Z – L’orgia del potere, di Costa-Gavras, in cui viene raccontata la nascita del regime greco. Dopo l’arresto, Theodorakis fuggì dalla Grecia e non ritornò fino al termine del regime.

 

Alexandros Panagulis

Tra i  ribelli  più famosi dobbiamo ricordare  Alexandros Panagulis, che il 13 agosto del 1968 cercò di uccidere il colonnello George Papadopoulos  con un attentato   fallito  per il quale fu  arrestato e lungamente torturato. Il suo arresto innescò una serie di proteste internazionali, in cui esponenti della sinistra di tutto il mondo chiesero la sua liberazione. Il regime alla fine cedette alla pressione e lo liberò nel 1973. Tra la sua liberazione e la sua morte in un sospetto incidente stradale nel 1976, Panagulis ebbe una relazione con la giornalista italiana Oriana Fallaci che gli dedicò il libro Un uomo  pubblicato nel 1979.

 

Mikis Theodorakis, musica come emblema della resistenza

Mikis Theodorakis era nato il 29 luglio 1925 nell’isola greca di Chio e fino all’arresto e alla fuga dal regime dei colonnelli  aveva vissuto una vita altrettanto movimentata  per le sue scelte politiche  che hanno segnato la sua esistenza.

Dedicatosi alla musica il suo lavoro di elaborazione e reinvenzione della tradizione trovò né la Danza di Zorba  una sintesi efficace. La danza, per tutti il Sirtaki,  è una  danza del tutto originale ispirata a due celebri balli popolari: il syrtos, che prevede figure di gruppo, e il pidiktos, caratterizzato dall’accelerazione del ritmo. Ed è proprio questa accelerazione che fa apprezzare il syrtaki  e forse lo trasforma in una  vera e propria colonna sonora di un popolo .

Il tema di questa riflessione, la parola che resiste , è l’apporto della musica al cambiamento della storia di un paese e alla ricerca di una visione diversa del mondo ,alla pari con la letteratura e la poesia. La figura di Mikis Theodorakis ne è l’emblema. E ne  è un’emblema la sua musica che nasce sui versi di poeti famosi. È lo stesso Theodorakis che in una intervista racconta la sua vita di oppositore al regime dei colonnelli e di compositore poliedrico. L’intervista si può vedere nelle teche rai (1 ) Il compositore parla di uno storico concerto  allo stadio Karaiskakis  di Atene tenuto il 10 ottobre 1974, successivo alla caduta della Giunta dei colonnelli  che lo aveva imprigionato dal 1967  al 1970. La sua musica, proibita  dal regime, era divenuta  per i greci l’emblema della resistenza che come disse uno degli spettatori a quel concerto era  “un  modo di incontrarsi  tra tutti coloro  che si battevano contro i colonnelli .” Durante quel concerto furono cantate dallo stesso compositore, insieme alla storica interprete dei suoi brani Maria Farantuori, canzoni  su poesie di grandi poeti greci come Odyseas Elyts, Manolis Anagnostakis, Ghiannis Ritsos ma anche stranieri Pablo Neruda e Garcia Lorca.

Mikis Theodorakis è stato anzitutto un uomo che ha più volte rischiato la vita  per difendere, in lotte collettive e disperate, la libertà del suo Paese e gli ideali democratici in cui credeva.

E non solo durante la vicenda del regime dei colonnelli. Ma anche prima:  più volte  imprigionato e torturato da Italiani e Tedeschi fra Tripoli d’Arcadia e Atene durante la seconda  guerra mondiale. La sua biografia  raccontata da varie fonti  ( che abbiamo consultato  sul web e che  evitiamo di  riportare  pedissequamente lasciando al lettore interessato   la scoperta ) riferisce  il  continuo entrare e uscire dal carcere e dalla clandestinità non solo durante la Resistenza ma poi lungo tutta la guerra civile (1945-49) .

A proposito della sua musica scrive Filippo Maria Pontano sul Bolg de IL POST di sabato 11  settembre 2021: “egli, infatti, ribadiva di non aver mai messo in musica testi connotati in senso partitico, tuttavia era persuaso che l’artista, tramite il contatto con il popolo, dovesse “alzare la bandiera dell’umanesimo, la bandiera della speranza”, essere “congeniale alle necessità fondamentali della società”, e pertanto contribuire a lottare con i propri mezzi (e non solo) contro l’ignoranza, la miseria, il nazionalismo, la guerra, la tirannia. Non parole vuote, queste, né ortodossie veteromarxiste, ma una missione che dava un senso alla sua idea di musica, e di futuro: il “canto popolare artistico” (praticato assieme a lui anche dall’altro grande, Manos Chatzidakis) fu un miracolo quasi solo greco che metteva al centro testi di altissimi poeti (apparentemente “difficili” e lontani dalle masse) e li faceva volare sulla bocca di tutti, rivendicando il bouzouki, il sandouri, la lira e il baglamàs come strumenti di una grecità primordiale, la sanguinante Grecità dell’amico poeta Ghiannis Ritsos (che mise in musica) contrapposta alla posticcia e ipocrita “civiltà ellenocristiana” dei fascisti, e pronta a dialogare con le culture circostanti – benché la sua famiglia a Creta avesse versato molto sangue nelle lotte d’indipendenza, Theodorakis collaborò sovente con musicisti turchi, e addirittura nel 1985 in Santa Sofia a Istanbul intonò a cappella un inno alla Vergine, col consenso ammirato dei locali.

Una missione così concreta da essere esplicata, a beneficio del prossimo, non solo nei teatri e nelle piazze, ma anche nei luoghi più impensati: nelle prigioni Averoff di Atene eseguì per la prima volta la “canzone-fiume” Epifania del premio Nobel Giorgio Seferis (“Ho conservato la mia vita come un sussurro nel silenzio infinito / e non so più parlare né pensare. Fruscii / come il respiro del cipresso quella notte…”); nella cucina del campo di detenzione di Oropos musicò per i compagni Raven dello stesso Seferis (peraltro noto conservatore); ai suoi carcerieri di Zatuna in Arcadia cantò testi del comunista Manolis Anagnostakis (“Parlo di fiori / seccati sulle tombe / e marci per la pioggia, / di case senza finestre / sogghignanti / come cranii sdentati, / di ragazze mendicanti / che mostrano i seni / e le ferite”).(2 )

Quando nel 1964 (l’anno di Zorba) Theodorakis musicò queste poesie, le sue canzoni divennero patrimonio comune dei giovani e degli anziani, nelle taverne e sulle spiagge, alcuni versi così, da soli, danno un senso a questa storia, alla storia dei Greci, degli Italiani, e dell’uomo tout court: “Sole intellegibile della Giustizia – e tu mirto glorificatore / non dimenticate, ve ne – scongiuro la mia terra!”, o “Da centimani notti – nel firmamento intero / Sono i visceri smossi – Questo dolore brucia / Dove trovare l’anima – lacrima quadrifoglia!”, o ancora “Il vincitore dell’Inferno dell’Amore il salvatore, / il Principe dei Gigli è qua”.

Ma incidentalmente ritorno ad Oriana Fallaci da cui ho preso lo spunto nella precedente riflessione per ricordare, all’interno di quella storia della Grecia che ho accennato,  quel suo libro Un uomo. “In cui  la voce narrante  racconta la storia  del protagonista, incarcerato dal regime e orribilmente torturato, tra il 1968 e il 1973, per il fallito attentato alla vita del colonnello Georgios  Papadopoulos, capo della giunta militare che, con il colpo di stato del 21 aprile 1967, si era impadronita del potere in Grecia 1. Al racconto  dell’arresto e della terribile detenzione, ricostruiti dalla narratrice sulla  base della testimonianza diretta dell’ex prigioniero, segue la storia dell’incontro tra Panagulis e l’autrice, avvenuto, dopo la scarcerazione del ’73, per un’intervista: Fallaci la pubblicherà, assieme ad altre, nel volume Intervista con la storia (Fallaci 1974). Dall’incontro nasce, tra i due, una relazione amorosa durata fino alla morte di Panagulis il quale, secondo la tesi sostenuta nel romanzo, fu vittima di un delitto politico, ordito per impedirgli di rivelare, all’opinione pubblica greca e internazionale, le passate complicità tra esponenti di spicco del nuovo governo democratico (in particolare il ministro della difesa Evangelos Averoff, chiamato “il Drago” nel libro), e la dittatura appena caduta. La vicenda, romantica e tragica insieme, è preceduta da un Prologo di una decina di pagine, in cui si rappresentano, con stile visionario e surriscaldata retorica, i funerali dell’eroe: con la spontanea partecipazione di oltre un milione di persone per le strade di Atene, la cerimonia assunse la dimensione di simbolico evento di massa per la Grecia dell’epoca . ( 3 )

“s’agapò tora ke tha s’agapò pantote”. Cosa significa? / Significa: ti amo ora e ti amerò sempre. Ripetilo. / Lo ripeto sottovoce: “e se non fosse così?” / Sarà così. / Tento un’ultima vana difesa: Niente dura per sempre, Alekos. Quando tu sarai vecchio e… / Io non sarò mai vecchio. / Sì che lo sarai. Un celebre vecchio coi baffi bianchi. / Io non avrò mai i baffi bianchi. Nemmeno grigi. / Li tingerai? / No, morirò molto prima. E allora sì che dovrai amarmi per sempre.”  È una poesia riportata in un brano del romanzo  “Un Uomo” di Oriana Fallaci.

Molte di queste poesie scritte in carcere  da Panagulis, sono state successivamente trasposte in musica da, Mikis Theodorakis, perseguitato anch’egli dalla dittatura fascista dei colonnelli; Ennio Morricone, invece, ha ispirato una sua opera al libro di Panagoulis “Vi scrivo da un carcere in Grecia”.

Alexandros Panagulis :“Quest’Uomo, folle e testardo, aveva subito la tortura e il carcere per lunghi anni (fino ad essere rinchiuso in un bunker costruito per lui detto “la tomba”) per la sua opposizione al regime dei colonnelli,  e per l’esecuzione del fallito attentato contro il capo del regime Papadopoulos. Affrontò il processo e il carcere sprezzante e in divisa, mai domo… e l’unico atto di cedimento, forse, lo ebbe la notte che riuscì a risolvere il Teorema (o congettura) di Fermat senza poterlo scrivere dimostrandolo. Il pianto disperato e la rabbia di quell’episodio però non fece altro che renderlo più forte nell’impari lotta contro i suoi aguzzini che durò per anni. Dopo l’ennesima mobilitazione popolare venne rilasciato e riuscì anche a vedere il ritorno della democrazia nel suo paese… anche se ben presto capì che il potere era simile a se stesso sempre e comunque. Continuò a combattere le sue strenue battaglie fino al primo di maggio del 1976, quando morì in un misterioso incidente automobilistico che di fatto fu un’esecuzione accertata dalle perizie di parte commissionate da Oriana Fallaci e dagli amici italiani di Alekos. Molte circostanze hanno fatto pensare che la sua morte fosse legata a quella di Pier Paolo Pasolini e al suo ultimo romanzo incompiuto… Petrolio. Durante il suo soggiorno in Italia, Alekos ebbe un sodalizio artistico con Pasolini e lo aiutò nelle indagini per la stesura del romanzo che racconta le vicende legate alla morte di Enrico Mattei.”(4 )

Nella “parola che resiste “ che vuole essere il simbolo  di una lotta  per la democrazia, per la libertà  ma anche  della capacità di offrire questa parola , attraverso i versi, le narrazioni, il racconto delle storie,  come   viatico  per un percorso di salvezza , sta tutta la vicenda umana e terrena di Mikis Teodorakis e di Alexandros Panagulis. Soprattutto nella capacità del primo  di far diventare canto universale, popolare i versi isolati  sulla bocca di grandi poeti.  E  per il  secondo , sempre attraverso la parola innamorata di una scrittrice Oriana Fallaci che quell’uomo amò  fino alla sua morte ,nel ricordo e nella memoria segni a loro volta di vita .

( 1) https://www.teche.rai.it/2021/09/ricordi-e-musica-di-mikis-theodorakis/

(2)  https://www.ilpost.it/filippomariapontani/2021/09/11/la-scomparsa-di-mikis-theodorakis/

(3 ) Oriana e i colonnelli:  cultura di massa e dittatura greca nell’Italia degli anni Settanta di Alessandro Terreni doi: https://dx.doi.org/10.7358/lcm-2021-001-terr

( 4 ) Alekos Panagulis… “Un Uomo” – di Riccardo Panzone http://www.magazzininesistenti.it/23945-2/

 

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