Gli addii inconsumati – leggere “Immobili passaggi” di Paolo Caianiello

Gli addii inconsumati, “Immobili passaggi” di Paolo Caianiello

 

Uno stereotipo molto diffuso riguardo alla poesia è che essa sfugga alla tecnica, all’editing e alle sue stesse regole. In poesia andrebbe bene tutto, purché vi siano le famigerate “emozioni”, termine così abusato e vago che tale inflazione lo ha svuotato del suo significato più nobile e lo ha eretto a velo di Maya di quei poeti che con le loro dichiarazioni – e la pochezza dei loro testi – alimentano quello che a mio avviso è uno stereotipo frutto di una concezione piuttosto naïve.

 

Ciò non vuol dire che la poesia debba essere, dall’altro estremo, il risultato dell’asettica applicazione di regole stabilite a tavolino (quello sì che sarebbe un esercizio di stile, o un gioco letterario). Come in molti ambiti, la soluzione non risiede tanto in un compromesso, quanto nell’equilibrio che ogni bravo poeta riesce a trovare tra ispirazione e formula, tra modello e improvvisazione.

 

La poesia è certamente un esercizio di libertà, ma la libertà, quella buona, è soggetta a vincoli. E questo vale anche per la buona poesia.

 

Lo scopo di uno stereotipo, si diceva, è veicolare visioni e percezioni semplicistiche di un qualcosa. Pensare per stereotipi è il riflesso di approccio mentale poco avvezzo alle sfumature. In base a questa logica, il machismo che nell’immaginario collettivo attribuiamo alla figura del militare mal si sposa – o addirittura esclude – l’altrettanto stereotipica delicatezza connessa alla poesia. Talvolta, però, l’umanità sa sorprendere le nostre pigre menti con fattualità che debellano i nostri pregiudizi.

 

La poesia di Paolo Caianiello, classe 1965, Primo Luogotenente nell’Esercito Italiano e autore del romanzo “Ostium Dei”, è una sintesi che ribalta i luoghi comuni sopramenzionati, sia quelli relativi alla figura del poeta, sia quelli legati allo stile.

 

Senza tirare in ballo paragoni ingenerosi – si pensi al Vate D’Annunzio, un altro che di operazioni militari se ne intendeva –, il poeta Caianiello, nella sua prima opera in versi “Immobili passaggi” (Puntoacapo Editrice, 2020), coniuga in maniera brillante durezza e tenerezza, ferro e nuvole, arrivando a generare limpidezze nel solco di un linguaggio altrettanto terso e privo di barocchismi.

 

Lo fa senza violare i misteri che venano la realtà del mondo cantato, disfacendo il proprio io poetico in un cifrario di azioni e immagini che restituiscono al lettore una corrispondenza puntuale tra sfera fisica e metafisica. L’elemento teistico permea le pagine del libro come il petricore permea l’aria dopo i temporali, ed è una spiritualità, quella del poeta, scevra di ogni forma di scolasticismo, capace di tradursi fino al paradosso della bestemmia come ammissione di fede.

La bellezza dell’elemento divino, così come lo propone Caianiello, sta nella carnalità delle sue fattezze; il suo dover passare, prima ancora che dai simboli e dagli insegnamenti delle religioni rivelate, attraverso la mente e il cuore di un uomo. In tale contesto, è l’universale a farsi contingenza e a riconfigurarsi in base al vissuto qui incastonato nella parola poetica. Non si parla di donne-angelo o simili, ma di figure che assumono il ruolo di veicolare l’eternità dei sentimenti rispetto alla fugacità delle sensazioni.

 

 

Ricordandoti

 

Le mie mani cenerose

attraversate da mille

strade oscure,

sfiorano dimenticanze.

 

“Corri!” mi gridavi dai fossati.

“Corri sulla vita” ed io correvo,

sfiancando il sole e le tempeste

con le mie ossa algebriche.

 

Ti chiesi un dì

dove andavano gli atomi

dopo le macerie della vita,

tu mi stringesti i lacci delle scarpe,

forte forte per non farli fuggire.

 

Guardami adesso

così immobile al cielo,

disperso dentro un campo di parole

a spaventare i poeti.

 

Guarda la mia anima

rinchiusa in una bici

appesa al muro

di casa.

 

Io sono ancora qui,

e tu nel vento

a tagliare sacre montagne

e campi di girasoli.

 

 

Nel caso di questa raccolta poetica, le scelte operate da Caianiello riflettono un uso disciplinato e minimale del linguaggio, il quale conferisce a ogni verso la nettezza di un taglio. Le parole fermano il passato nel testo poetico facendosi dimora del lutto e specchio di quegli immobili passaggi che scandiscono la vita di ognuno. L’ineluttabilità del tempo e della sua azione struggono l’animo del poeta, ma è la stasi – l’immobilismo generato dal continuo ritorno delle cose – a custodire (e liberare) la bellezza contenuta nelle rimembranze.

 

 

40 parole

 

A testa in giù

i fiori appassiti

inventano

la tristezza dei santi.

 

Io qui,

senza te,

genuflesso

a chiedermi

se è questo l’inferno,

mentre le formiche,

poco più giù,

nella loro

chimica universale,

attraversano il mondo

senza croci sul cuore.

 

 

La poesia soprascritta, pur di minor impatto rispetto ad altre, condensa bene la poetica di Caianiello, nonché lo spirito della raccolta. In essa, unitamente ai topoi del divino e del rapporto che lega i suoi interpreti, vi è il tema cardine del libro, quello dell’assenza e della mancanza declinata come nostalgia. Gli anonimi operatori del disegno, uomini o formiche che siano, procedono tra l’ignoranza e il dubbio, ma il poeta, ancora più a margine delle altre creature, individua nei santi il riflesso dei fiori, e, dunque, la vicendevole influenza che Dio e l’uomo, il grande e il piccolo, hanno l’uno sull’altro.

 

Il titolo di tale lirica, una scelta stilistica che il poeta propone più volte nel libro, riflette il rigore al quale gli autori dovrebbero sottoporre la propria vena. Non sto dicendo che egli abbia adattato la lirica al titolo – sarebbe come invertire causa ed effetto –, ma il concetto è utile a esprimere quello che accennavo a inizio articolo, e cioè che nei testi brevi – e le poesie lo sono – ogni parola ha un peso ancora più specifico.

 

Nemmeno la poesia più riuscita sembra debellare l’irrequietezza che pervade l’anima dell’autore. Essa sfocia nei testi e si traduce in una produzione lirica che non prevede rime, quasi che la giocosità delle assonanze possa inficiare la disillusione di certi frangenti. Eppure, il taglio inferto da certe chiuse – uno dei punti forti di Caianiello – sembra slacciare il poeta dal suo dolore, liberarlo dal peso dell’assenza. Almeno fino alla poesia successiva.

 

La fine non è la fine, specie quando si tratta di separazioni forzate dal destino, o della sofferenza dettata dall’incompletezza. È in questa lotta che la memoria diviene luogo in opposizione all’inferno del mondo fuori, gli elementi metafisici si scoprono caduchi quanto la carne e la ricerca dell’amore assume i contorni disperati di un’ossessione. È con questo libro, un’opera che a più riprese mostra un talento letterario maturo ma non ancora giunto al suo apice, che il poeta Paolo Caianiello dona sollievo al suo dolore e a quello di tutti noi, sopravvissuti a coloro che ci hanno lasciato, sopravvissuti anche grazie a coloro che ci hanno lasciato.

 

 

Le poesie citate sono tratte da “Immobili passaggi” di Paolo Caianiello, Puntoacapo editrice, 2020.

 

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